14 maggio 2025

Mia figlia alza le mani o urla quando le dico di non fare qualcosa

MI@ FIGLI@ QUANDO RICEVE UN “NO” URLA O ALZA LE MANI: COME FARE?

Tu@ figli@ sta crescendo, e con la crescita arriva anche la scoperta delle emozioni, che all’inizio sono un vero e proprio “tsunami” per i bambini così piccoli.

I bambini non hanno ancora la capacità di regolare le proprie emozioni, né possiedono un linguaggio sufficientemente sviluppato per esprimerle a parole. Quindi le emozioni escono in modo corporeo: pianti intensi, urla, lanci di oggetti, colpi, irrigidimenti, e così via. È normale, anche se a volte può sembrare “troppo”.

Perché succede?

Queste reazioni arrivano quando c’è frustrazione: vogliono qualcosa, non la ottengono, non sanno spiegarsi, non possono autoconsolarsi.
Non è un “capriccio” e non lo fanno per provocare. Non c’è cattiveria, c’è immaturità neurologica e bisogno di contenimento.

 

Cosa puoi fare tu?

💬 1. Resta presente e calma

Anche se la situazione è stressante, cerca di non alzare la voce, non arrabbiarti, non punirla. Lei ha bisogno della tua calma per imparare a calmarsi. Sei il suo porto sicuro.

"Capisco che sei arrabbiata… È difficile, lo so… Mamma è qui."

Semplicemente stai con lei. Non devi "farla smettere", devi attraversare con lei l’emozione. Quando la rabbia passa, sarà più aperta a un tuo contatto.

 

2. Contieni senza bloccare

Se alza le mani o lancia oggetti, ferma il gesto con dolcezza ma fermezza, senza sgridarla:

"Non ti faccio fare male a te né a me. Le mani servono per accarezzare, non per fare male."

Mantieni il messaggio chiaro, ma senza minaccia o giudizio.

 

🤍 3. Parla poco, ma con parole chiare

Quando sono in pieno uragano emotivo, non capiscono discorsi lunghi o spiegazioni. Bastano frasi brevi, accoglienti, ripetitive:

  • "Capisco."
  • "È difficile."
  • "Ora passa."
  • "Ci sono io."

 

🧠 4. Dopo, dai un senso

Quando si calma (anche dopo diversi minuti), puoi provare a mettere parole su ciò che è successo:

"Prima ti sei arrabbiata tanto perché volevi ___ e non potevi. Hai urlato, lanciato le cose. Sei stata tanto arrabbiata. Ma poi ti sei calmata, brava."

In questo modo, le stai insegnando a riconoscere le emozioni, a dare un nome a ciò che sente. Questo è il primo passo verso l’autoregolazione.

 

Altri consigli concreti:

  • Evita “No!” urlati: cerca alternative come “Non si fa, fa male”, “Non si può, è pericoloso”, “Ti capisco, ma non posso darti quello”.
  • Anticipa le crisi quando puoi: se sai che è stanca/fame/frustrazione in arrivo, cerca di evitarle situazioni stressanti.
  • Ritmo regolare e prevedibile: i bambini piccoli si sentono più sicuri se la giornata è prevedibile.
  • Routine e gesti ripetitivi: aiutano a calmare il cervello ancora immaturo.

 

Ultimo punto: il pianto in apnea

Succede in alcuni bimbi. Anche questo, sebbene impressionante, è abbastanza comune e nella stragrande maggioranza dei casi non pericoloso. Non serve scuoterla o gridare per "farla riprendere", anzi: più sei calma, più aiuti il suo sistema nervoso a ritrovare equilibrio.

 

In sintesi cosa dobbiamo sempre ricordare?

La tua bimba non ha un problema, sta imparando a sentire. È faticoso, ma anche un segno di sviluppo sano.
Il tuo ruolo non è “farla smettere”, ma accompagnarla e reggere con lei quelle emozioni che da sola non sa ancora contenere.

Quindi segui i seguenti punti: se vuoi scrivili e salvali per utilizzarli e fare pratica:

✔️ Resto presente, calma e accogliente

"Ti capisco" – "Ci sono io" – "Passa, amore"

✔️ Parlo poco e con parole semplici

Evito spiegazioni lunghe: non le può elaborare

✔️ Contengo con fermezza dolce

“Ti tengo le mani, non si usano per fare male”

✔️ Quando si calma, do un nome all'emozione

“Ti sei arrabbiata tanto perché volevi quel gioco. Poi è passata.”

 

🚫 EVITARE DI:

  • Gridare o minacciare
  • Dire “Non è niente” o “Smettila!”
  • Pensare di doverla “aggiustare” o calmarla subito

 

🎯 Il TUO obiettivo non è farla smettere, ma starle accanto mentre impara a sentirsi.

Tu@ figli@ sta vivendo un'emozione troppo grande per il suo cervello. Non è un capriccio!

 

In casa crea delle Schede illustrate delle emozioni base!

Pensate per bimbi piccoli (anche sotto i 2 anni). Possono essere plastificate e usate come routine:

  • al mattino
  • dopo la crisi
  • nei momenti di gioco o lettura

Ecco le emozioni da utilizzare nelle schede in casa:

  1. 😃 FELICE – "Sono felice!"
  2. 😢 TRISTE – "Sono triste..."
  3. 😡 ARRABBIATA – "Sono arrabbiata!"
  4. 😨 SPAVENTATA – "Ho paura!"
  5. 😌 CALMA – "Ora sto bene"

 

📍Obiettivo: dare parole alle emozioni, associandole a un volto e a un gesto.

 

Se questo file ti è stato utile seguimi sempre e scrivimi per ogni dubbio ariannacuomo@hotmail.com

Oppure compera i corsi a disposizione per te e per il tuo benessere familiare. Inoltre, puoi sempre prenotare con me una consulenza gratuita nella sezione contatti trovi tutto!

Sito web: https://www.webador.it/v2/website/5761076/editor/page/24627424

 

Dott.ssa Cuomo Arianna- Pedagogista

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30 aprile 2025

Frustazione nei bambini: emozione che inizia dopo l'anno di vita.

PERCHÉ È IMPORTANTE CHE IL BAMBINO VIVA IN MODO SANO LA FRUSTRAZIONE (0-6 ANNI)?

 

  1. Perché la frustrazione è inevitabile nella vita

Se un bambino non incontra mai dei “no”, dei limiti, delle attese… crescerà con l’illusione che tutto debba andare secondo i suoi desideri. Quando poi incontrerà la realtà (scuola, amicizie, regole sociali), crollerà. E spesso reagirà con rabbia, ansia o ritiro.

 

  1. Perché impara a tollerare le emozioni spiacevoli

Frustrazione non vuol dire trauma.
Vuol dire non ottenere subito quello che voglio.
Un bimbo che vive queste esperienze con il supporto di un adulto che:

  • lo contiene (“so che sei arrabbiato”),
  • non cede subito (“non si può adesso, amore”),
  • ma resta lì con lui (“io sono con te”),

sta imparando a regolare le sue emozioni. E questa è una competenza chiave per tutta la vita (si chiama autoregolarizzazione emotiva).

 

  1. Perché capisce che non è il centro del mondo

Che non significa "umiliarlo", ma insegnargli che anche gli altri hanno desideri, tempi, bisogni.
→ Questo è il nucleo dell’empatia: scoprire che esistono gli altri.

 

  1. Perché costruisce resilienza

Ogni volta che un bambino affronta una frustrazione con il supporto dell’adulto, si rafforza:

  • impara a non mollare subito,
  • trova strategie alternative,
  • sviluppa fiducia in sé stesso

 

ESEMPI PRATICI CON FRASI UTILI

Situazione

Frase utile

·       “Lo voglio adesso!”

·       “Capisco che lo vuoi, ma non è il momento.”

·       “Nooo!” (pianto/rabbia)

·       “Sei molto arrabbiato, lo vedo. Io sono qui con te.”

·       “Non mi piace!”

·       “Puoi non mangiarlo, ma questo è quello che c’è oggi.”

·       “Voglio un altro gioco!”

·       “Hai già scelto questo. Dopo, se vuoi, cambiamo.”

 

ATTENZIONE: FRUSTRAZIONE SANA SOFFERENZA INUTILE

Una frustrazione sana:

  • è proporzionata all’età,
  • è accompagnata da un adulto presente,
  • non umilia, non spaventa, non è rigida per principio.

È sana quando il bambino:

  • non ottiene subito ciò che vuole,
  • prova emozioni forti (pianto, rabbia, delusione),
  • ma ha accanto un adulto presente che lo contiene,
    senza cedere e senza sgridare.

Esempio:

- bimbo: “Voglio il biscotto PRIMA di cena!”

- mamma: “Capisco che lo vuoi tanto, ma ora si cena. Dopo ci sarà il dolcetto. Lo so che è difficile aspettare, ma io sono qui con te.”

 

COSA EVITARE?

  • Cedere subito per “calmare” il pianto.
  • Minacciare o spaventare (“Se fai così, non ti voglio più bene!”).
  • Umiliare (“Ma sei un bimbo grande o no?”).
  • Distrarre subito per evitare il conflitto (“Guarda il cartone!”).

 

COSA FARE INVECE?

  • Stare accanto senza risolvere tutto.
  • Nominare le emozioni: “So che sei deluso, è normale.”
  • Mantenere il limite con voce calma e corpo fermo.
  • Dare tempo: il bambino impara a calmarsi con te, non da solo.

 

💡 RICORDA

La frustrazione non è un problema. È l’allenamento quotidiano alla vita vera.

 

In sintesi:

Un bambino che impara a gestire la frustrazione diventa un adulto capace di affrontare la vita. E’ tuo compito fargli fare esperienza sana in casa!

 

Se hai bisogno sono qui per te sia per corsi, auto corsi e sia per una consulenza gratuita che puoi prenotare.

Arianna Cuomo- Pedagogista APEI

 

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2 aprile 2025

LIMITI: COSA SONO E A COSA SERVONO?

I limiti in educazione

Sono le regole, i confini e le aspettative che vengono stabiliti per guidare il comportamento e lo sviluppo di un individuo, soprattutto durante l'infanzia e l'adolescenza.

Cosa creano??

1 Sicurezza: Offrono un senso di stabilità e protezione, aiutando a capire cosa è accettabile e cosa no.

2 Struttura: Forniscono una base solida su cui costruire l'autonomia e l'indipendenza.

3 Responsabilità: Incoraggiano a prendere decisioni consapevoli e a rispettare le conseguenze delle proprie azioni.

4 Rispetto: Insegnano a considerare gli altri e a rispettare le loro esigenze.

 

Come devono essere i limiti?

* Chiari: Devono essere espressi in modo semplice e comprensibile, senza ambiguità.

* Coerenti: Devono essere applicati in modo costante, evitando eccezioni ingiustificate.

* Flessibili: Possono adattarsi alle diverse situazioni e alle diverse fasi dello sviluppo.

* Realistici: Devono essere raggiungibili e adeguati all'età e alle capacità del bambino.

* Positivi: Devono focalizzarsi su ciò che è permesso e desiderabile, piuttosto che su ciò che è vietato. ( INVECE DI DIRE NON SI FA QUESTO DICI DIRETTAMENTE COSA E COME DEVE FARLO..)

* Spiegati: Devono essere accompagnati da spiegazioni chiare e comprensibili, che aiutino a capire il perché di una regola.

* Adatti all'età: Le regole devono essere adeguate allo sviluppo del bambino.

* Flessibili: C'è spazio per la negoziazione, ma i principi rimangono fermi.

* Costruttivi: I limiti aiutano a sviluppare l'autonomia e la responsabilità.

* Basati sul rispetto: Sia per il bambino che per gli altri.

 

Perchè sono così importanti i limiti?

A. Sicurezza: Proteggono il bambino dai pericoli.

B. Orientamento: Danno un senso di sicurezza e prevedibilità.

C. Relazioni: Favoriscono relazioni positive con gli altri.

D. Autostima: Aiutano a sviluppare un senso di sé sano.

 

Ricorda:

* Dialogo: Parlare con il bambino è fondamentale per fargli capire le regole.

* Esempio: I genitori sono i primi modelli di comportamento.

* Conseguenze: Le conseguenze devono essere chiare e proporzionate.

* Amore: I limiti non devono essere imposti con la paura, ma con l'amore.

* Preparano alla vita: Forniscono gli strumenti necessari per affrontare le sfide della vita adulta.

In sintesi: I limiti sono come delle guide che aiutano a crescere in modo sano e sicuro, fornendo una base solida per lo sviluppo della personalità.

 

Arianna Cuomo - Pedagogista

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Genitore sufficientemente buono: chi è?

SFIDE GENITORIALI NELLA SOCIETA’ POST-MODERNA:

Si sente spesso dire che il mestiere di genitore è il più difficile del mondo (e a mio parere il più affascinante…), ma quest’affermazione sembra essere ancor più vera in questo periodo storico-sociale nel quale i valori sembrano essere divenuti “liquidi”, i ruoli incerti e il relativismo imperante: del resto il fiorire di “scuole per genitori” sarà pur indicativo di qualcosa che non funziona più. La famiglia oggi affronta tante sfide dettate dallo stile di vita, stress lavorativo, problemi economici, la tecnologia e non riuscire a star al passo con i tempi, differenza generazionale che causa incomprensioni genitori-figli soprattutto durante l’adolescenza, crisi di coppia da gestire al meglio, conflitti con i nonni dettati da modelli educativi diversi o per la loro eventuale invadenza.

Partiamo dal concetto che il genitore perfetto non esiste, come non esiste il figlio perfetto, né esiste il “manuale del genitore perfetto”. Si dice che le famiglie sono cambiate, che non c’è una vera politica di sostegno alla famiglia, alla genitorialità, ma il problema di fondo rimane il problema EDUCATIVO.

Non si nasce genitori, ma lo si diventa quando si mette al mondo un figlio e le capacità genitoriali si acquisiscono lungo tutto l’arco della sua crescita. Essere genitori significa assumersi la responsabilità, le fatiche e la bellezza della crescita dei figli in un percorso che comunque non permette rassicuranti certezze. Non ci sono indicazioni e regole, se non le più semplici (che sono spesso anche le più efficaci), che siano adeguate per tutti i figli: ogni genitore è diverso dagli altri e da questa diversità derivano i diversi atteggiamenti, convinzioni, regole, abitudini che metteranno in atto. Così anche i figli sono diversi e per questo motivo crescerli richiede un continuo e progressivo adeguamento da parte dei genitori, che devono saper rispondere a esigenze sempre nuove, alla ricerca di nuove modalità di relazione con loro. Lungo l’arco della crescita si incontreranno figli “sempre diversi”: pensiamo al passaggio tra infanzia e adolescenza, percorso sempre più precoce e sempre più turbolento verso l’età adulta, con l’abbandono della funzione protettiva e rassicurante (quando c’è) dei genitori, anzi spesso con il rifiuto di questa funzione, con la scoperta dell’ “altro”, un tuffo nella vita adulta, così ricca di attrattive per una mente ancora acerba.

L’adolescenza ha un naturale e necessario compito evolutivo: essa porta con sé tutta una serie di cambiamenti nei figli, che da bambini docili iniziano a ribellarsi, mettendo in discussione l’autorità dei genitori e provocando in famiglia tensioni e litigi. I genitori si trovano disorientati e spesso impotenti di fronte a comportamenti dei figli che non riconoscono più e temono che la situazione possa sfuggire loro di mano. È importante comprendere che la ribellione fa parte del percorso di crescita e quasi sempre non è riferita al rapporto diretto con mamma e papà, di cui i ragazzi hanno ancora tanto bisogno, anche se non lo ammettono. I genitori faticano ad accettarlo: gli adolescenti guardano i genitori in modo diverso, mettendo in discussione l’onnipotenza e l’onniscienza che riconoscevano loro solo pochi anni prima. La presa di distanza può manifestarsi come ribellione, rifiuto delle regole, isolamento o chiusura in se stessi: questo processo che è fisiologico, indispensabile per la crescita, non deve però diventare eccessivo. Prepotenti sono le spinte biologiche verso l’autonomia: il corpo che cambia, gli ormoni, la scoperta della sessualità sempre più precoce, troppo precoce, l’identificazione sessuale; il ragazzo tende a sentirsi onnipotente. “Età dello tsunami”, così è stata definita l’adolescenza. Questa fase è molto difficile sia per il ragazzo sia per i genitori: c’è da chiedersi poi se il livello di “dis-informazione” fornito dai “social” sia utile in questo processo: la morte, ad esempio, sembra essere diventata un concetto virtuale, come nei videogiochi, e la realtà virtuale sembra prevalere su quella fattuale.

ECCO LA VERA SFIDA: Da un lato la turbolenza della crescita, dall’altro la funzione di contenimento dei genitori. Potremmo dire che i figli “devono” trasgredire e i genitori “devono” contenere. Una “battaglia educativa” da fare insieme, che sovente i genitori non combattono. Incontro spesso genitori che si dichiarano impotenti o che appaiono rassegnati davanti a figli bersagliati, anche sul web, da un mondo di contenuti molto spesso diseducativi, subissati da migliaia di informazioni che non sono in grado di gestire, e davanti alle quali sono passivi come “carte assorbenti”.

Certo, cosa aspettarsi se si mettono in mano ai figli tablet a 3 anni o smartphone con internet a 6-8 anni? Proviamo a descrivere sei tipologie “patologiche” di genitori: 1.Modello Iperprotettivo: i genitori si “sostituiscono” costantemente ai figli perché considerati troppo fragili, ma così facendo, in realtà, li rendono fragili.

2. Modello Democratico-permissivo: genitori e figli sono amici, in una totale assenza di autorevolezza e autorità.

3. Modello Sacrificante: i genitori si sacrificano costantemente per dare il massimo ai figli per cui, alla fine, è come se valesse la regola tacita per cui è più buono e bravo chi si sacrifica di più.

4. Modello Intermittente: i genitori tendono a oscillare costantemente da un modello educativo a un altro, per cui la percezione che il figlio ha di sé è quella di essere comunque e sempre sbagliato.

5. Modello Delegante: i genitori delegano ad altri, in genere ai loro stessi genitori, il ruolo di guida, per cui i figli sentono di non poter contare sui propri genitori.

6. Modello Autoritario: i genitori esercitano il potere in modo autoritario e rigido nei confronti del figlio: chi è più forte comanda senza compromessi.

Ma qual è allora il modello sano di famiglia, quello che permette ai figli di crescere maturi, responsabili, in grado di emanciparsi dai propri genitori in modo autonomo e sicuro?

La famiglia che permette questo è la famiglia AUTOREVOLE

La famiglia autorevole si caratterizza come una famiglia in cui le gerarchie sono mantenute e nella quale i genitori sono rispettati e vissuti come modelli e punti di riferimento. Essere autorevoli significa assumere nei confronti dei figli posizioni educative, facendo rispettare le regole, ristabilendo il senso del limite nei momenti in cui il figlio sembra averlo perduto, anche con interventi disciplinari. Ma essere autorevoli significa anche decidere, in altri momenti, di mettersi sullo stesso piano dei figli, come avviene quando dialoghiamo con loro, sforzandoci di comprendere il loro punto di vista, o quando giochiamo con loro o ci scusiamo quando è il caso di farlo.

ESSERE GENITORE SUFFICIENTEMENTE BUONO Non significa essere un genitore perfetto, che non si arrabbia mai o non piange maI anzi Essere UMANI è questo: e’ accogliere e contestualizzare le proprie emozioni senza inibirle mai perché altrimenti restano nascoste dentro e la nostra mente prima o poi se non le hai canalizzate emergono proprio nei momenti più delicati della nostra vita! Ecco quindi chi è un genitore sufficientemente buono? E’ colui che accetta l’esistenza di tutte le emozione: le abbraccia e riconosce. E’ un genitore che quando capita che si arrabbia perché è impossibile non arrabbiarsi mai ... Se dovesse perdere il controllo davanti a suo figlio, non riuscendo in quel momento ad auto regolarizzarsi, quindi urla o sbatte qualcosa perché l’impulso è forte... Non essere severo con te stesso... Inizia ad essere un genitore sufficientemente buono con te stesso, impara a perdonarti e ad informarti su come poter gestire meglio quegli impulsi. Lavora sulla tua mente e sulle tue emozioni di più e dopo aver urlato vai da tuo figlio e spiega quanto accaduto dicendo: “Mi dispiace di quanto accaduto, sono stanca e molto arrabbiata e ho esagerato ma Ora mi sono calmata e sono qui per chiederti scusa perché non volevo spaventarti ma ho perso il controllo. TI VOGLIO BENE! In questo modo insegni a tuo figlio una cosa importante: Non esiste perfezione nell’essere umano e lui si sentiranno la pressione di essere perfetti e migliori perché grazie a te avrà compreso che errare è normale, umano, ma che è importante Il dopo cioè il riparare quanto accaduto. Capirà che sbagliare non è la fine del mondo ma è importante mantenere solida la relazione in quel gioco di rotture e riparazioni. Per quanto ci impegniamo ci scontreremo sempre con i nostri limiti umani. La nostra natura è limitata. Siamo fallibili e non infallibili. Quindi ecco d’ora in poi ricorda che quando ti accorgi che sei andata fuori dal binario di quello che è essere genitori autoritari e amorevoli, ripara quanto accaduto. La genitorialità è fatta di rotture e riparazioni. Se comprendi questo Sarai un genitore sufficientemente buono con te stesso e con i tuoi figli garantendo una relazione sicura, un attaccamento sicuro ed un figlio che riconosce la natura umana per quello che è cioè fallibile e non perfetta come siamo abituati a pensarla e a vederla nel mondo social! E tu, in che tipologia di famiglia ti rivedi?

 

Arianna Cuomo - Pedagogista

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Mio figlio non socializza!!!

Socializzare Non è sempre condividere soprattutto per i bambini piccolini.

La socializzazione è fondamentale per la crescita di un bambino di 18 mesi.

 Di seguito cito tanti consigli per incoraggiare l'interazione con i coetanei:

  1. Playdate organizzati: Invita a casa altri bambini della stessa età o porta il tuo piccolo a giocare con loro in un parco. Inizia con brevi incontri e osserva come si comportano.
  2. Giochi di gruppo: Scegli giochi che stimolino l'interazione, come passare una palla, costruire una torre con i blocchi o fare il trenino.
  3. Spazi comuni: Frequenta luoghi come parchi giochi, biblioteche per bambini o centri ludici. Questi ambienti offrono molte opportunità per incontrare altri piccoli.
  4.  Feste di compleanno: Organizza o partecipa a feste di compleanno per bambini. Sono occasioni ideali per socializzare e divertirsi.
  5.  Corsi di gruppo: iscriviti a corsi di psicomotricità, musica o gioco per bambini. In questo modo, il tuo piccolo avrà l'opportunità di interagire con altri bambini in un ambiente strutturato.
  1. Essere un modello: Mostra al tuo bambino come interagire con gli altri bambini in modo positivo e amichevole.
  2. Pazienza e comprensione: Ricorda che ogni bambino ha i suoi tempi. Non forzare il tuo piccolo a socializzare se non se la sente.

 

Cosa evitare:

 * Confronti: Evita di confrontare il tuo bambino con gli altri. Ogni bambino si sviluppa con i propri tempi.

 * Preoccupazioni eccessive: Un po' di timidezza è normale a questa età. Non preoccuparti troppo se il tuo bambino non è subito socievole.

 * Pressione: Non costringere il tuo bambino a giocare con altri se non ne ha voglia.

Esempi di Giochi per favorire la socializzazione:

 * Giochi semplici e condivisi:Palla, macchinine, costruzioni, puzzle, giochi d’acqua, corse, nascondersi o rincorrersi… tutto ciò che aiuta i piccoli a guardarsi negli occhi e a ricercarsi. 

   * Costruzioni: Con blocchi o mattoncini, i bambini possono collaborare per creare qualcosa insieme.

   * Giochi di ruolo: Vestirsi con abiti fantasiosi e interpretare diversi personaggi può stimolare l'immaginazione e la comunicazione.

   * Giochi con la palla: Lanciare e prendere una palla è un'attività divertente che promuove la coordinazione e l'interazione.

  Giochi che stimolano l'imitazione: Cucinare, spazzare, fare benzina all’auto, gioco dello specchio…

   * Canzoni e filastrocche:  Incoraggia il tuo bambino a ripetere gesti e parole, creando un senso di comunità.

   * Giochi con le marionette o i peluche: Creare storie insieme e far interagire i personaggi può aiutare a sviluppare l'empatia e la comunicazione.

 * Giochi all'aperto:

   * Caccia al tesoro: Un'attività che stimola la curiosità e la collaborazione.

   * Giochi con l'acqua: In estate, i giochi con l'acqua possono essere molto divertenti e rinfrescanti oppure mentre si fa il bagnetto in inverno possiamo prendere tanti giochini da doccia anche colorati oppure fluo così da rendere tutto più attraente. 

 

Consigli aggiuntivi:

 * Iscrivilo a attività di gruppo: Un corso di musica, danza o sport può aiutarlo a socializzare in un ambiente strutturato.

 * Leggi libri sui sentimenti: Libri che affrontano temi come la timidezza possono aiutarlo a comprendere meglio le proprie emozioni.

 

Ricorda: La socializzazione è un processo graduale.

 Con pazienza e stimoli adeguati, il tuo bambino imparerà a interagire con i coetanei in modo sempre più efficace.

 

Arianna Cuomo - Pedagogista

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TIMIDEZZA NEI BAMBINI

 La timidezza nei bambini è molto comune e può essere gestita con pazienza e approcci giusti.

 

Ecco alcuni consigli:

 

 * Accetta la sua timidezza: Non etichettarlo come "timido" e non forzarlo a situazioni che lo mettono a disagio.

 * Crea un ambiente sicuro: Assicurati che si senta amato e supportato in ogni situazione.

 * Incoraggialo gradualmente: Esponilo a situazioni sociali in modo graduale, iniziando con ambienti familiari e aumentando gradualmente la complessità.

 * Sii un modello: Mostra al tuo bambino come interagire con gli altri in modo positivo e amichevole.

 * Celebra i piccoli successi: Anche i più piccoli progressi vanno riconosciuti e lodati.

 

Giochi per favorire la socializzazione:

 * Giochi semplici e condivisi: Palla, macchinine, costruzioni, puzzle, giochi d’acqua, corse, nascondersi o rincorrersi… tutto ciò che aiuta i piccoli a guardarsi negli occhi e a ricercarsi. 

   * Costruzioni: Con blocchi o mattoncini, i bambini possono collaborare per creare qualcosa insieme.

   * Giochi di ruolo: Vestirsi con abiti fantasiosi e interpretare diversi personaggi può stimolare l'immaginazione e la comunicazione.

   * Giochi con la palla: Lanciare e prendere una palla è un'attività divertente che promuove la coordinazione e l'interazione.

  Giochi che stimolano l'imitazione: Cucinare, spazzare, fare benzina all’auto, gioco dello specchio…

   * Canzoni e filastrocche:  Incoraggia il tuo bambino a ripetere gesti e parole, creando un senso di comunità.

   * Giochi con le marionette o i peluche: Creare storie insieme e far interagire i personaggi può aiutare a sviluppare l'empatia e la comunicazione.

 * Giochi all'aperto:

   * Caccia al tesoro: Un'attività che stimola la curiosità e la collaborazione.

   * Giochi con l'acqua: In estate, i giochi con l'acqua possono essere molto divertenti e rinfrescanti oppure mentre si fa il bagnetto in inverno possiamo prendere tanti giochini da doccia anche colorati oppure fluo così da rendere tutto più attraente. 



Consigli aggiuntivi per socializzare con i coetanei e non solo: 

  1. Iscrivi il tuo bambin@ a attività di gruppo: Un corso di musica, danza o sport può aiutarlo a socializzare in un ambiente strutturato.
  2.  Leggi libri sui sentimenti: Libri che affrontano temi come la timidezza possono aiutarlo a comprendere meglio le proprie emozioni.

 

Ricorda: Ogni bambino è diverso, quindi adatta questi consigli alle esigenze specifiche del tuo piccolo. La pazienza e l'amore sono gli ingredienti fondamentali per aiutarlo a superare la timidezza e a sviluppare delle solide relazioni sociali.

 

Per maggiori informazioni o se hai preoccupazioni in merito scrivimi. 

Ti aspetto!!!

 

Arianna Cuomo - Pedagogista

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PAURA NEI BAMBINI

Esistono diverse paure nei bambini, alcune esistenti dalla nascita, altre legate alla crescita e allo sviluppo e altre che insorgono dopo eventi traumatici.

Le paure nei bambini possono essere divise in tre categorie:

1. le paure innate, presenti dalla nascita;

2. le paure legate alla crescita, che appaiono a diverse età;

3. le paure apprese in seguito ad eventi traumatici o indotte dall’ambiente di vita.

 

Che cos’ è la paura?

• La paura, come altre emozioni primarie è iscritta nel nostro patrimonio genetico.

• La paura è un campanello d’allarme interno che ci segnala la presenza di un pericolo o di una minaccia nel mondo esterno. Ha il pregio di segnalare i pericoli e di attivare l’organismo dicendoci <> pertanto il suo scopo è quello di attivare comportamenti di protezione come la fuga o l’attacco.

• La paura fornisce la motivazione necessaria alla mobilitazione delle energie, soltanto quando è eccessiva porta a compiere azioni avventate e controproducenti. Una persona senza paura non potrebbe sopravvivere a lungo ad esempio attraversando la strada con il rosso.

• Sotto l’effetto della paura i battiti del cuore aumentano, la pressione del sangue accelera, gli occhi sono sbarrati oppure serrati, le pupille dilatate, le orecchie tese a cogliere ogni rumore sospetto oppure tappate con le mani, la pelle d’oca, intensa sudorazione, sensazione di caldo alla testa, pulsazioni accelerate.

In questo stato di allerta, anche gli organi interni, come intestino e reni, lavorano ad un ritmo vorticoso, tanto da produrre diarrea e disturbi di digestione, gli zuccheri si riversano nel sangue, aumentano le secrezioni da parte dell’ipofisi e della midollare del surrene. Aumentano l’attenzione e la velocità delle reazioni. Più estesa è la situazione che provoca paura, più sembrerà minacciosa al soggetto e più violente saranno le emozioni provate.

Questo sistema psico-fisico migliora la capacità di lottare, oppure di fuggire e di immobilizzarsi, il cosiddetto freezing (in cui si attiva il sistema nervoso simpatico, e i muscoli sono tonici), oppure immobilizzazione/morte apparente (in cui si attiva il sistema nervoso parasimpatico dorsale e vi è afflosciamento muscolare) tipico atteggiamento protettivo assunto dagli animali.

 

QUANDO NASCONO LE PAURE? PERCHÉ NASCONO?

 Le paure nei bambini: Sono stati individuati tre principali stili educativi favorenti l’acquisizione delle più comuni paure nei bambini.

I bambini, infatti, manifestano comportamenti disturbati solo nel contesto di situazioni disturbate. Si tratta di situazioni che, oltre ad offrire contingenze di rinforzo inadeguate, favoriscono l’apprendimento nel bambino di convinzioni, inferenze e valutazioni elicitanti manifestazioni emotive disturbate.

GLI STILI EDUCATIVI INCIDONO:

– STILE IPERCRITICO: è caratterizzato da un’elevata frequenza di critiche rivolte al bambino sotto forma di rimproveri oppure manifestando biasimo nei suoi confronti, svalutandolo e mettendolo in ridicolo. Gli adulti che adottano questo stile educativo, difficilmente notano i comportamenti adeguati del bambino, mentre sono sempre pronti ad evidenziare i suoi errori. Ciò determina nel bambino paura di sbagliare, di essere disapprovato, bassa stima di sé.

– STILE PERFEZIONISTICO: è uno stile educativo sostenuto dalla convinzione che il bambino deve riuscire bene in tutto ciò che fa e che il suo valore (e quello dei suoi genitori) è determinato dal successo che ottiene in varie attività. Nel bambino viene cosi modellato un atteggiamento perfezionistico, che lo porta a temere in modo eccessivo la disapprovazione e la critica qualora non riesca bene in ciò che fa. I bambini educati con questo stile, diventano molto ansiosi quando si cimentano in qualcosa di impegnativo (compiti in classe, esami, gare ecc.) e ritengono di valere qualcosa, solo se riescono bene ed ottengono l’approvazione altrui. Le manifestazioni più frequenti di paura sono, in questo caso, l’ansia scolastica e l’ansia sociale.

– STILE IPERANSIOSO-IPERPROTETTIVO: tale stile educativo è contraddistinto da un’eccessiva preoccupazione dell’incolumità fisica del bambino e tendono a proteggere in continuazione il figlio da ogni minima frustrazione. Nel bambino vengono quindi modellate timidezza e paura trasmettendogli soprattutto queste idee sul fatto che i pericoli sono dappertutto e bisogna stare continuamente attenti; se qualcosa è spiacevole o frustrante bisogna evitarlo ad ogni costo; se accadesse qualcosa di brutto sarebbe terribile; per sopravvivere bisogna assolutamente avere la certezza che le cose vadano bene.

 

LE MANIFESTAZIONI PIÙ FREQUENTI DELLE PAURE NEI BAMBINI

Le paure nei bambini possono essere divise in tre categorie: le paure innate, presenti dalla nascita; le paure legate alla crescita, che appaiono a diverse età; le paure apprese in seguito ad eventi traumatici o indotte dall’ambiente di vita. La forma primaria di paura nei bambini è la perdita del contatto fisico con la mamma.

A 8/9 mesi si ha paura dell’estraneo.

A 12/18 mesi paura della separazione, che raggiunge il suo apice intorno al 2°/3° anno di vita.

A 3/5 anni arriva la paura del temporale, del buio, dei mostri, delle streghe, di Babbo Natale e della Befana, elementi che affascinano ed al tempo stesso spaventano; paura dei pericoli fisici, di ferirsi, ammalarsi.

In età prescolare la paura maggiore è quella del distacco dal genitore e dell’abbandono legata all’inizio della vita scolastica in comunità. Altra paura tipica di questa età è quella dei personaggi di fiabe e racconti come l’uomo nero o il lupo cattivo.

Durante la fanciullezza e cioè tra i 6/12 anni alcune paure degli anni precedenti possono essere padroneggiate perché ora il bambino ha maggiori competenze, ma proprio perché ora capisce di più, può cogliere altre minacce come quella dei ladri e dei rapitori, dei danni fisici, delle malattie, del sangue, delle iniezioni, della morte e dell’abbandono. Fanno la loro comparsa i timori legati al proprio stato sociale, come scolaro per esempio, e alle interazioni con gli altri: esami, litigi, sopraffazioni, nonché la paura di essere rifiutato dai compagni. Può diminuire la paura degli animali domestici ma può comparire quella degli insetti. La paura degli insetti così come quella degli animali esotici, è spesso associata alla paura dell’ignoto, di ciò che non si conosce e non si padroneggia. Un modo per superare questa paura consiste nel familiarizzare con gli insetti apprezzandone caratteristiche e qualità. Molte delle paure legate a periodi precedenti possono ripresentarsi come regressioni a stadi precedenti dello sviluppo, ciò si spiega con la condizione di instabilità che contraddistingue tutta l’età evolutiva. Dopo un forte spavento, infatti, o di fronte a situazioni angoscianti che si protraggono nel tempo è normale che i bambini regrediscano temporaneamente a comportamenti tipici di uno stadio precedente del loro sviluppo e se ciò avviene è perché in quello stadio si sentivano più protetti e sicuri. Gli adolescenti superano generalmente le paure degli anni precedenti grazie ad una diversa e più complessa visione del mondo. Ciò però non significa che non abbiano delle paure.

Tipiche di questo periodo sono le vertigini, varie paure legate al corpo come quella di arrossire, di avere qualche anomalia fisica e vari timori legati alla sfera sociale e sessuale come: brutte figure, critiche, insuccessi, esami, essere ignorati o rifiutati. Paure per il dolore, la morte, i danni fisici, le deformità e la bruttezza, sono presenti così come la paura di perdere il controllo delle proprie azioni e di parlare in pubblico.

ANDIAMO NEL PRATICO DELLA GESTIONE PAURE: Generalmente, le paure infantili non hanno infatti nulla di patologico e fanno parte del normale processo di sviluppo dei bambini, ma naturalmente è bene fare attenzione, perché se queste vanno ad incidere in maniera significativa sulla loro vita, portandoli a chiudersi, a generare disturbi del sonno, evitamenti, malessere generale, allora è importante non sottovalutarle.

Le paure dei bambini sono potenzialmente infinite e variano anche a seconda dell’età; esistono comunque alcune paure che risultano tra le più diffuse e comuni e, molto probabilmente, una o più di queste hanno riguardato o riguarderanno anche i vostri figli:

• Paura del buio

• Paura dei mostri/fantasmi

• Paura della separazione dai genitori

• Paura della morte

• Paura degli incubi

• Paura dell’acqua

• Paura del temporale

• Paura di stare da soli in una stanza

Ma che tipo di atteggiamento avere di fronte alle paure dei propri figli?

Cosa fare se sostengono che, ad esempio, ci sia un mostro sotto il letto, se non vogliono restare al buio, se provano ansia nel rimanere da soli in una stanza?

Ecco 4 strategie utili per aiutarli (ed aiutarvi) ad affrontare al meglio le loro paure.

1. SPINGETELI A COMUNICARE COSA PROVANO

Piuttosto che fare finta di nulla ed evitare l’argomento, è bene spingere i propri figli a comunicare ciò che provano, chiedendo loro di raccontarci cosa li preoccupa e che forma hanno tali paure. È molto importante descrivere ciò che si prova, esprimerlo a parole o anche tramite un disegno, perché aiuta nella regolazione delle proprie emozioni. Piuttosto che distrarli, cambiare argomento, ignorarli, dovreste dunque mostrare interesse e aiutare i vostri figli a portare fuori ciò che hanno dentro: chiedete loro, ad esempio, come sono fatti questi “mostri”, dove li vedono, raccontate che anche voi a volte avete paura e che non è affatto qualcosa di sbagliato e di anormale.

2. ACCOGLIETE SENZA MINIMIZZARE

È bene dunque ascoltare i vostri figli ed accogliere le loro ansie senza giudizio e senza minimizzare. Sentirsi accolti, infatti, produce effetti positivi, permettendo di affrontare e gestire più facilmente il problema. Può venire spontaneo sminuire e screditare le loro paure, perché si pensa in tal modo di rassicurarli; ecco allora che si usano frasi come: “ma di cosa hai paura? Non fare lo sciocchino, non c’è nulla!”. Invece, sarebbe bene sospendere ogni giudizio, perché anche se a noi le loro paure appaiono irrazionali e insensate, ciò che provano è reale, dunque estremamente valido e importante. Non sono difatti le spiegazioni razionali a tranquillizzarli, ma il sentire la vicinanza del genitore e la sua presenza. Questo non significa che sia giusto alimentare la paura e confermare i timori del bambino, è bene far capire che, ad esempio, quel mostro spaventoso non c’è sotto il letto, ma evitando sempre di deriderlo e di ridicolizzare la sua paura. E, soprattutto, ci deve essere in primis ascolto ed accoglienza, soltanto successivamente si può provare a tranquillizzare e rassicurare.

 

3. AIUTATELI AD AFFRONTARE ED ESORCIZZARE LE PAURE

Esistono vari metodi che possono aiutare il bambino ad affrontare e ad esorcizzare le sue paure; uno di questi, è il raccontargli delle fiabe prima di andare a letto. Le fiabe rappresentano infatti degli ottimi strumenti che permettono al bambino di identificarsi, elaborare le paure, comprendere che sono comuni e naturali, ed è sempre possibile affrontarle e vincerle. Così, il buono uccide il drago, il bambino supera la paura del buio grazie al suo orsetto, la bambina affronta l’orco cattivo, e così via. Inoltre, l’introduzione di alcuni rituali legati al momento temuto può essere di grande aiuto: se, ad esempio, la paura del bambino è relativa al momento della nanna o si manifesta soprattutto in quella circostanza, è molto utile creare dei rituali della buonanotte che possano aiutarlo a dargli contenimento e sicurezza (ad esempio accompagnarlo nella sua stanza, il racconto della favola, le coccole nel letto, ecc…).

 

4. NON FORZATELI AD ESSERE CORAGGIOSI MA DATE IL BUON ESEMPIO

È importante non forzare mai il bambino a vincere le sue paure, perché, se è vero che le paure vanno affrontate e si possono superare, non è un bene spingere il piccolo a farlo in maniera affrettata, quasi costringerlo a trovarsi di fronte a ciò che teme. Buttare il bimbo di peso nell’acqua avrà anche funzionato in qualche caso, ma non è certamente l’approccio migliore, tanto che, in molti casi, simili metodi non fanno che acuire le paure ingigantendo in tal modo il problema.

Una cosa che, al contrario, funziona molto bene, è invece il dare voi il buon esempio: trasmettete ai vostri figli che, anche se avete delle paure, provate comunque ad affrontarle, i vostri figli infatti apprendono molto da voi e dalle vostre condotte, dunque è bene infondere sicurezza e trasmettere la capacità di affrontare le comuni difficoltà. D’altronde, ansia genera spesso ansia, quindi imparate prima di tutto ad essere voi capaci di gestire le vostre paure.

Superare le proprie paure aiuta i bambini a crescere e ad essere più sicuri, spesso le paure tendono a scomparire con l’età ma è bene sapere come agire per sostenerli in questo processo ed evitare di acuire il problema.

È importante evitare di essere voi, per primi, spaventati dalle loro difficoltà, mostrando sicurezza e sostegno, elementi preziosi nel costruire un rapporto positivo con i vostri figli e nel farli crescere più sicuri e sereni.

Questi sono solo alcuni piccoli suggerimenti utili per gestire tali fasi che si potranno presentare più volte nella vostra vita familiare.

 

Per maggiori info leggi altri articoli simili oppure scrivimi per maggiori informazioni.

Arianna Cuomo - Pedagogista

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PAURA DEGLI SCONOSCIUTI

ANCHE TUO FIGLIO SCAPPA O PIANGE QUANDO VÈDE UNO SCONOSCIUTO?

E' una reazione emotiva universale legata all’ansia da
separazione verso le figure di accudimento. Ma non deve far
preoccupare: si tratta di una fase importante per lo sviluppo del
bambino che sta crescendo e mette in mostra le competenze
acquisite
Intorno ai 6 mesi il piccolo inizia ad avere delle reazioni di diffidenza e a 9 mrsi la
paura si fa più intensa e aumenta fino al primo anno di vita.


La paura dei bambini verso una persona estranea è legata a quella che viene
chiamata anche ansia da  separazione (vedi l'articolo di  riferimento nel blog) cioè la
paura di essere diviso dalle figure genitoriali o di accudimento. Anche quest’ansia
compare solitamente intorno ai 6 mesi di vita, ma raggiunge il suo picco intorno ai
15 mesi. Si tratta di una reazione emotiva universale, come dimostrano gli
studi, che si manifesta cioè nei bambini di tutte le culture, e possiamo inoltre
immaginare quanto questo comportamento sia stato importante per l’evoluzione
della nostra specie: aver paura del potenziale pericolo e tornare dalla madre,
in passato, poteva garantire la sopravvivenza dei piccoli.


Che figuraccia!


Le manifestazioni emotive di questo tipo sono spesso molto intense e di difficile
gestione. I genitori possono infatti provare sconforto o imbarazzo di fronte alle
crisi di pianto del proprio bambino, o alle sue insistenti richieste di vicinanza e ai
comportamenti poco appropriati in pubblico. «Mio figlio mi fa fare certe
figuracce!» è la frase che talvolta sentiamo dire. Sapere che si tratta di fasi dello
sviluppo attraversate da tutti i bambini può allora farci sentire più sollevati.
Nostro figlio, che può sembrare piagnucoloso o poco socievole, sta in
realtà facendo dei passi molto importanti per la sua crescita, dal momento
che la paura degli estranei è il risultato di molte competenze che ha acquisito e
raffinato: ha iniziato a muoversi in maniera indipendente, a distinguere tra sé e il
mondo esterno; ha imparato a riconoscere i familiari e comprende che una
persona continua a esistere anche quando si allontana dal suo campo visivo
(ecco perché vuole trattenere a sé); sa riconoscere le reazioni emotive dell’altro;
mostra chiaramente cosa vuole e tanto altro.
In ogni caso, non tutti i bambini mostrano la stessa angoscia quando
incontrano un estraneo, e ciò dipende in parte dalle caratteristiche
individuali del bambino (il cosiddetto temperamento). Altri fattori determinanti
sono: il tipo di attaccamento con i genitori, il contesto sociale e le caratteristiche
della persona estranea.

 


L’attaccamento
Il modo in cui il bambino imparerà a relazionarsi con gli estranei e l’eventuale
paura che ne consegue sono strettamente legati all’attaccamento che il piccolo
ha costruito con chi si è preso cura di lui fin dalla nascita. Si tratta di un legame
emotivo importantissimo, che unisce il bambino alla figura di riferimento e che gli
garantisce vicinanza, protezione e sicurezza, un vero e proprio fondamento per il
suo successivo sviluppo socio-emotivo. Quindi, se bambino e genitori hanno
costruito un buon legame di attaccamento, il piccolo avrà una base sicura
che gli consentirà anche di avvicinarsi più facilmente agli sconosciuti,
senza timore di perdere i riferimenti genitoriali. Se invece l’attaccamento è
debole, sarà molto più probabile il verificarsi dell’ansia da separazione.


Cosa influenza la paura
Numerosi studi hanno messo in luce che i bambini manifestano meno paura
quando sono in un ambiente familiare, ad esempio in casa o accanto alle figure
genitoriali. Più il bambino si sente sicuro, meno avrà paura degli sconosciuti
intorno a lui e potrà pian piano decidere di avvicinarsi a loro.
La paura è influenzata anche dalle caratteristiche della persona estranea e dai
suoi comportamenti. I bambini hanno, ad esempio, meno paura degli altri bambini
e più paura degli adulti. In generale gli estranei, se sorridenti e amichevoli,
suscitano sicuramente meno timore rispetto a quando sono seri.
Solitamente la paura degli estranei scompare autonomamente con il
passare dei mesi, ma fattori ambientali, psicologici e educativi possono
influenzare questo passaggio.
Spesso, per capire se un estraneo sia o meno una persona da temere, il
bambino osserva l’espressione dei genitori, e si basa su quella per decidere
come reagire. È l’espressione facciale materna in particolare a influenzare il
piccolo, che verifica se la mamma è felice, arrabbiata o impaurita nell’incontrare
uno sconosciuto. Questa abilità di leggere le emozioni di altre persone al fine di
decidere come agire viene chiamata “riferimento sociale”, un’importante
conquista per lo sviluppo. Il modo in cui il bambino interpreta una situazione, e di
conseguenza anche l’emozione che lui stesso proverà, è influenzato da come
viene interpretata dalla persona per lui più significativa. È evidente quindi che
genitori aperti, espansivi e amichevoli con le altre persone influenzano
positivamente il processo di superamento della paura verso gli estranei, e
viceversa.


Aiutare nostro figlio a entrare in relazione
Possiamo utilizzare queste attenzioni pedagogiche per evitare di ingigantire le
paure dei bambini e aiutarli a entrare in relazione con gli sconosciuti. Vediamo
come.
1. Facciamo il primo passo per dare il buon esempio e far capire al
bambino che la persona estranea che ha di fronte non è un pericolo:
apriamo la porta di casa e salutiamo amichevolmente i visitatori; entriamo
per primi dentro la stanza del pediatra quando è il momento della visita (il
bimbo ci seguirà); mostriamo al piccolo come accarezzare la barba del
nonno che può sembrare così spaventosa; e così via.
2. Non costringiamo il bambino a baciare, essere baciato o abbracciato
dalla persona verso cui manifesta paura.
3. Rispettiamo i tempi del bambino, dandogli modo di osservare gli
estranei da un luogo sicuro (ad esempio stando in braccio a noi), senza
forzare l’avvicinamento: sarà lui stesso, quando si sentirà pronto, a
lanciare un segnale di apertura (uno sguardo furtivo, un sorriso, ecc.).
4. Usciamo all’aperto a passeggiare, tenendolo stretto a noi, così potrà
osservare gli altri sentendosi al sicuro: scoprirà occhi, bocche, sorrisi,
facce, barbe, voci diverse (divertenti, paurose e gentili).
Ricordiamoci di rispettarli perché i bambini hanno emozioni forti, vere, che
necessitano di essere accolte e validate. Solo in questo modo gli insegniamo che
non è lui ad essere sbagliato e nemmeno l'emozione ma solo l'azione che quella
emozione ha generato. Dunque sei solo tu a dargli lo strumento giusto per
modificare quell’azione.
Come? Attraverso il tuo esempio costante, calma, amore e ripetizione.

Ricorda, il bisogno di rassicurazione è un bisogno primario come cibo e sonno.


Dott. ssa. Arianna Cuomo

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IL NO EDUCATIVO

Il "NO" Educativo! COS'è E COME SI APPLICA?


Questa è una delle cose più importanti che dovete insegnare fra il
primo e il secondo anno d’età. Vi saranno sempre degli oggetti che
non potranno toccare: le lampade sui tavoli, tovaglie, vetri, il forno
caldo, la chiavetta del gas, arrampicarsi sulla finestra anche se è tanto
attraente!!!


QUANDO NASCE LA COMPRENSIONE DELLA PAROLA NO?
Solo dopo i 12 mesi di vita il bambino può comprendere il NO e può
anche iniziarlo a manifestare per comunicare un suo atto di volontà!
COME FARE ALLORA PRIMA DEI 12 MESI DI VITA E ANCHE DOPO?
PRIMA FASE: DISTRARRE
La DISTRAZIONE è l’arma da utilizzare per il primo anno di vita. Non vi
sgolate a urlare No ai vostri figli.
I bambini di un anno sono così impazienti di scoprire tutto il mondo
che stanno a guardare dove comincia e dove finisce. Devono sentirsi
liberi di farlo eliminando pericoli o guidandoli ad evitare disastri!
Ad esempio: Anche se sono tutti intenti a guardare un mazzo di
chiavi e metterlo in bocca, riuscirete a farglielo abbandonare dando
loro un frullino per le uova. Distrazione messa in atto!!!
Il fatto che si distraggano con tanta facilità consente ai genitori di
guidarli al non si fa questo ma altro: l'arma da usare è la Distrazione.
SECONDA FASE: ACCOMPAGNARE IL NO DA GESTI, PAROLE
OGGETTI.
Non basta dire “no”.
Non potete fermarlo dicendo di no, almeno non all’inizio. Anche più
avanti, dipende dal vostro tono di voce e dalla frequenza con cui lo
dite. Non è un metodo di cui potete fidarvi troppo, finché non ha
capito per esperienza che cosa vuol dire e che cosa volete da lui.
Non dite “no” con tono di sfida, restando all’altra estremità della
stanza perché gli offrirà la possibilità di scegliere. Egli si dirà: “Devo
essere un topo e fare come dice la mamma, oppure devo essere un
uomo e afferrare il cordone della lampada?” Ricordatevi che il suo
istinto lo incita a far tentativi e a burlarsi degli ordini. ( non è sfida ma
atto di crescita verso l’autoderminazione!).
TERZA FASE: ALLONTANIAMO FISICAMENTE CON AMORE IL
BAMBINO
È probabile che continui ad avvicinarsi allo specchio tenendovi
d’occhio, per vedere quanto vi stizzite.
È molto più prudente, le prime volte che il bimbo si avvicina
all’oggetto che non deve toccare ( speccio, vetri, lampade etc..),
arrivate subito e attirare il piccolo verso un’altra parte della stanza
dandogli una alternativa: subito dategli una rivista, una scatola vuota,
una qualsiasi cosa innocua e interessante. Mi raccoando gli oggetti di
alternativa devono essere attraenti e interessanti.
Supponiamo che ritorni all’oggetto dopo pochi minuti. La seconda
volta è meglio trasferirlo e distrarlo che ridirgli “no”. Toglietelo via e
distraetelo di nuovo, con prontezza, decisione e allegria. Va benissimo
dire: “No, no” intanto che lo allontanare, rinforzando la vostra azione
per prudenza. Sedetevi con lui un minuto per dimostrargli che cosa
può fare col nuovo gioco. Se necessario, mettete l’oggetto fuori della
sua portata questa volta, o anche portatelo via dalla stanza. Gli
dimostrerete così con tatto di essere assolutamente sicura, dentro di
voi, che l'oggetto non è una cosa per giocare.
State lontani dalle contraddizioni, dalle occhiatacce, dai rimproveri,
dalle alternative che non fanno mai bene, ma che gli fanno soltanto
alzar le spalle.


DUBBI GENITORIALI PER QUESTO METODO:
Direte: “Ma lui non imparerà, se non gli insegno che è cattivo”. Certo
che imparerà. Infatti, accetterà la lezione più facilmente, se è fatta in
modo deciso coerente da tutti i caregiver.
Quando scuotete un dito al suo indirizzo dall’altra parte della stanza
con aria di disapprovazione e dite: “Noooh” e magari il bambino non
ha ancora imparato che “no” vuol dire “non si può continuare questa
azione”, gli rendete difficile rinunciare.
E non va affatto meglio se lo afferrare, lo tenete a faccia a faccia e gli
fate un bel discorsetto, perchè non gli offrite la possibilità di
rinunciare con buona grazia o di dimenticare. La sua sola alternativa è
di arrendersi umilmente o di sfidarvi.
La pazienza è la nostra alleata sempre . La costanza determina il
cambiamento. Il tempo dimostrerà i frutti del nostro duro lavoro!

 

Per altri dettagli e spunti educativi sui limiti c'è il corso e l'auto corso in sezione corsi a pagamento oppure leggi altri articoli in blog gratuiti simili. 

 

Arianna Cuomo - Pedagogista

 

 

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MIO FIGLIO NON MI DA LA MANO: SCAPPA

È normale che i bambini dai 12 – 24 mesi, non vogliano dare la mano e vogliano sempre essere liberi perché stanno ancora sviluppando le loro competenze sociali e motorie.


Il rifiuto di dare la mano può essere una fase del loro sviluppo. Ogni bambino è diverso, ma ci sono alcuni approcci per gestire la situazione fuori casa:


1. Rendere il gesto di dare la mano divertente: Puoi trasformare il gesto in un gioco o in una routine divertente. Ad esempio, puoi dire qualcosa come "Tieni la mano di mamma/papà come un supereroe" o fare dei piccoli giochi con le dita. L'idea è di rendere il momento piacevole e non forzato.
2. Esercitati a casa: Puoi iniziare ad allenarti a casa con il bambino, magari facendo esercizi di gioco che lo portino a dare la mano in modo naturale.
Puoi farlo con un gioco che coinvolge la tua mano o quella di un altro adulto, cercando di rendere la cosa divertente.
3. Sii paziente e incoraggiante: Invece di forzare la situazione, cerca di incentivare il bambino con parole gentili e positività. Ad esempio, "Wow, che bravo! Hai preso la mano di mamma!" Quando vedrai il bambino avvicinarsi a questo comportamento, loda sempre il piccolo.
4. Riconoscere e rispettare i limiti: A questa età, i bambini stanno ancora
esplorando i concetti di indipendenza e sicurezza. Se il bambino non vuole dare la mano, rispetta la sua scelta, ma rassicuralo che è comunque al sicuro accanto a te.
5. Progressione graduale: Quando siete fuori casa, iniziate con brevi tratte, tenendo il bambino vicino a te senza necessariamente forzarlo a dare la mano. Aumenta gradualmente il tempo che trascorre in queste situazioni, ma sempre senza forzarlo troppo.
6. Sicurezza prima di tutto: Se la preoccupazione riguarda la sicurezza,
per esempio mentre camminate in strada, potresti usare un piccolo zainetto con guinzaglio o una fascia di sicurezza che ti permetta di
mantenere il bambino vicino senza forzarlo a tenerti la mano.


La chiave è essere pazienti e permettere al bambino di evolversi nei suoi tempi.


Ogni bambino è diverso, e con il tempo acquisirà la fiducia per tenerti la mano
quando se ne sentirà pronto.


COSA FARE IN PRATICA OGNI GIORNO PER CREARE UN’ABITUDINE SANA AD UN BAMBINO DI 12-24 MESI PER FARSI DARE LA MANO O ANDARE PIANO PER STRADA?
Per far sì che un bambino di questi mesi inizi a dare la mano quando si
attraversa la strada, è importante lavorare su aspetti come:
1. la ripetizione,
2. il rinforzo positivo
3. e la creazione di routine che associano il gesto a situazioni di sicurezza.


Ecco qui di seguito, quindi, come trasformare questa teoria in pratica in modo
pedagogico !!!
Creare una routine consolidata
I bambini imparano molto bene attraverso le routine. Ogni volta che attraversi la strada, cerca di ripetere lo stesso comportamento e le stesse parole,
creando una connessione tra il gesto di darti la mano e il momento in cui si attraversa. Ad esempio, puoi dire: "Ora attraversiamo insieme, dammi la mano per stare sicuri!".
Inizia in casa o in un posto sicuro dove puoi esercitarti senza la pressione del traffico, facendogli vedere che è importante tenere la mano quando si
attraversa.

Fai il modello.
I bambini spesso imiteranno i comportamenti degli adulti. Ogni volta che attraversi la strada, fai vedere al bambino come tu ti prendi per mano di qualcun altro (magari un altro adulto) o anche una bambola o peluche che tiene la mano a te. Usa questo modello per spiegare che anche lui dovrebbe fare lo stesso.


Gioco simbolico
Crea un gioco di ruolo in cui attraversate una "strada" (potresti usare un tappeto o un percorso sicuro in casa) dove il bambino deve "tenere la mano" per stare sicuro. Puoi rendere questo gioco più interessante con storie come "I bambini che si tengono la mano sono più sicuri!" o "Gli amici si aiutano attraversando insieme!"
Rinforzo positivo
Ogni volta che il bambino ti dà la mano, lodalo con entusiasmo. I rinforzi positivi (come abbracci, parole di approvazione, o anche un piccolo sticker) aiutano a motivarlo a ripetere il comportamento. Ad esempio, "Che bravo, hai tenuto la mano! Sei stato molto sicuro!"
Se il bambino non vuole dare la mano, evita punizioni o frustrazione. Piuttosto, offri un incoraggiamento amorevole: "Ti capisco, ma quando attraversiamo la
strada insieme è molto più sicuro."
Utilizzare segnali visivi o oggetti
Alcuni bambini reagiscono bene agli oggetti visivi. Potresti associare il gesto di dare la mano a qualcosa di colorato, come un braccialetto che indossi tu o un piccolo giocattolo da tenere in mano. Questo crea una connessione visiva e fisica che può aiutarlo a ricordarsi meglio.
Comunicazione con il bambino
A questa età, i bambini comprendono sempre di più il linguaggio. Puoi spiegare il motivo per cui è importante tenere la mano quando si attraversa, anche se non lo capiscono completamente. Usa un linguaggio semplice, come: "La strada è pericolosa, la mano mi aiuta a tenerti vicino e stare al sicuro."


Pratica in contesti più tranquilli, come un parco o un'area pedonale poco trafficata, dove puoi esercitarti a fare il gesto di dare la mano senza il pericolo immediato del traffico. L'esperienza positiva in questi contesti può
aiutare il bambino a interiorizzare il comportamento.
Flessibilità e pazienza
Infine, sii paziente. A questa età, la comprensione di concetti di sicurezza può essere limitata. L'obiettivo è creare una connessione emotiva tra la sicurezza e il comportamento del dare la mano, in modo che diventi
qualcosa di naturale e automatico nel tempo.


In generale, l'importante è mantenere il più possibile l'esperienza positiva e rassicurante, in modo che il bambino non percepisca il gesto come una
costrizione, ma come una parte naturale del suo comportamento quotidiano
quando si trova in una situazione di attraversamento.

Seguimi per altre info gratuite e per aiutarti sempre nel tuo meraviglioso lavoro che già svolgi con magnificenza!

Sei un genitore meraviglio!

Continua ad informarti e otterrai sempre migliori risultati!


Dott.ssa Arianna Cuomo- Pegagogista

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EDUCARTE ALL'ATTESA

EDUCARE ALL’ATTESA:

Spesso si assiste ad un’incapacità generalizzata di attendere: si deve sempre
fare, ci si deve sempre intrattenere con qualcosa, si deve sempre essere
produttivi, con effetti a lungo termine rischiosi, che vanno al di là
dell’intolleranza della noia o della possibilità di giovare dell’ozio.
Questa nuova tendenza non riguarda solo gli adulti, ma anche i bambini.
I genitori sono i primi ad attivare questo comportamento nei propri figli,
fondamentalmente per due ragioni:
1. in primis è una dimostrazione della loro presenza e attenzione “ho
cercato e trovato un passatempo adatto a mio figlio” ;
2. in seconda battuta è una forma di controllo che rassicura i più ansiosi:
“so cosa fa in mia assenza” .
Gli educatori, di conseguenza, si sentono ingaggiati a dover sollecitare a
loro volta i bambini per avere “prove” del loro operato, materiali che
testimonino l’attività durante la loro permanenza al nido o a scuola.
IL RISULTATO È CHE I BAMBINI NON SANNO PIÙ ASPETTARE anche
quando si ritrovano obbligati a doverlo fare, come in fila al supermercato, in
macchina nel traffico, in sala d’attesa dal pediatra e così via.
L’unica soluzione valida plausibile sembra essere la distrazione,
tendenzialmente con device tecnologici, quali video, canzoni, videogames
che, a differenza di quel che si pensa, non rilassano ma bensì iperstimolano
cognitivamente i bambini.
L’attesa diventa quindi fonte di ansia, di stress e frustrazione quando in realtà
nasconde mille valori che sono una risorsa preziosa per lo sviluppo
dell’identità e della personalità dell’essere umano, ancor più del bambino che
ha viva la voglia di esplorare e conoscere ciò che lo circonda.
ATTENDERE È INDISPENSABILE PER AFFINARE LA CAPACITÀ
INTROSPETTIVA E ANALITICA, PER SPERIMENTARE DIVERSE ABILITÀ:
• osservare e filtrare le situazioni che si stanno vivendo,
• cogliere i dettagli degli ambienti in cui si staziona,
• individuare differenze e peculiarità di ciascun contesto e occasione,
• concentrarsi su una cosa per volta,
• familiarizzare con la decodifica e gestione di linguaggi alternativi a
quello verbale (prossimità fisica, non verbale),
• rispettare l’altro nella sua unicità ma anche nei suoi spazi e tempi,
• comprendere i bisogni altrui, ma soprattutto i propri, guardando e
riconoscendo le proprie emozioni, desideri e necessità.
In poche parole, ATTENDERE È:
“STARE” E NON FUGGIRE,
è rimanere fermi con il corpo e la mente e guardare sé e gli altri.
MA COME SI PUÒ EDUCARE ALL’ATTESA? AL SO-STARE?
Il segreto sta nell’introdurre piccoli accorgimenti di diverso genere nella
quotidianità e nel proporli con costanza:
1. Riorganizzare gli ambienti in cui il bambino vive. Privilegiare la qualità
dei giochi alla quantità: meglio pochi giocattoli, belli, curati, riposti
secondo un criterio riconoscibile (non ammucchiati indistintamente in
scatoloni o ceste), facilmente accessibili e adatti alla fascia d’età del
bambino. Ciò aiuta il piccolo a concentrarsi su una singola attività;
2. Parlare di ciò che si è fatto durante la giornata (sia adulti che bambini),
di quello che ha attirato l’attenzione, di quello che ci ha colpito e di
quello che non è piaciuto, dando un nome anche alle sensazioni che si
sono provate;
3. Fermarsi al parco, a casa, in un negozio, per strada e guardare i
particolari che caratterizzano quell’ambiente commentando le cose più
strampalate;
4. Rispettare il turno di parola sia degli adulti che dei bambini: non
interrompersi, essere partecipi, aspettare che il discorso di uno sia finito
per poi rispondere o introdurre altri argomenti;
5. Non anticipare possibili frustrazioni del bambino: l’adulto ha il dovere di
esserci ed aiutare il bambino a fronteggiare un momento di difficoltà o
di fastidio anche in relazione all’attesa, ma non deve sostituirsi a lui;
6. Istituire regole precise per l’uso di televisione e tablet: la necessità di
avere momenti dedicati aiuta il bambino a comprendere la scansione
della giornata, a prevedere l’uso di questi dispositivi e a trovare
soluzioni alternative quando non può attingervi;
7. Coinvolgere il bambino nella programmazione della giornata per
condividere con lui i vari passaggi e ideare passatempi che siano in
grado di soddisfare sia i piccoli che gli adulti;
8. Attingere dal proprio retaggio infantile (es. carta-forbice- sasso,
indovinelli, ricerca oggetti che iniziano con una lettera specifica o che
abbiano un colore o una forma particolare) nei momenti di attesa con
un duplice scopo:
9. Abituare ad usare la fantasia e l’immaginazione,
10. Trasmettere una nostra eredità.
11. Infine, è utile ricordarsi sempre che l’adulto è il principale esempio
per un bambino e che non c’è da stupirsi di un bimbo che si
spazientisce velocemente se ha al suo fianco un genitore che guarda
assiduamente il proprio smartphone.
Sfruttiamo la possibilità di stare con i bambini per recuperare anche noi
le opportunità e la ricchezza che ci concedono l’attendere e l’aspettare.
Qualche consiglio su come comportarsi
La televisione
Potremmo dare occasione ai bambini, se desiderosi di guardare la TV, di farlo
in poche occasioni, brevi, saltuarie. Si può scegliere alcuni momenti della
settimana, facendosi aiutare da un calendario autocostruito dove la TV rientra
in alcuni momenti specifici prefissati che possano dettare le tempistiche al
bambino. Ciò aiuta il bambino nell’orientamento spaziale,
nell’autoregolazione e nell’obiettività delle regole. Il televisore, insomma, si
può accendere, ma si può anche spegnere.
La cameretta
Possiamo scegliere pochi oggetti, belli, curati, interessanti e ordinati che
consentano al bambino di vivere un ambiente stimolante ma non soffocante,
iperstimolante e caotico. I bambini possono vivere in una camera con pochi
giochi, costruendosi così spazi per la creatività, l’approfondimento e la
ricerca, avendo chiaro ciò che hanno a loro disposizione.
Il dialogo
Quando due adulti stanno parlando possono richiedere a un bambino che
vuole parlare di attendere il proprio turno per poi, una volta data la parola,
dedicargli tutta l’attenzione che merita. Ciò lo farà sentire importante, così
come, del resto, lo sono anche i suoi genitori.
I fratelli
Una sola bicicletta, una palla, una sola bambola. Non è obbligatorio
possedere tutto doppio o triplo perché si è genitori di due o tre figli. A volte
per motivi economici è inevitabile, ma lo può essere anche per motivi
educativi. Per educare alla condivisione, alla relazione, all’attesa, bisogna
trovare delle occasioni per sperimentarsi verso questa direzione.
CONCLUSIONI:
È difficile dare consigli, ogni genitore può trovare soluzioni adatte per il
proprio figlio. Tuttavia, ecco un piccolo elenco, non esaustivo, dei punti da
tenere a mente.
Primo, il bambino deve fare esperienza dell’attesa, perché è necessaria per
lo sviluppo affettivo e cognitivo. L’attesa promuove l’intelligenza e la
creatività.
Secondo, gli adulti non devono lasciare il bambino aspettare oltre un limite e
devono tornare accanto a lui dopo il tempo stabilito, in questo modo il
bambino sviluppa fiducia nel mondo.
Terzo, finché i bambini sono piccoli è necessario mostrare come si inganna
l’attesa, invitandoli a disegnare, giocare o affidando loro qualche piccolo
compito domestico divertente. Alcuni bambini producono qualcosa per
“sorprendere” la mamma quando torna. Questo operare è utile anche con i
bambini più grandi che sono disattenti e iperattivi.
Quinto, non dare il cellulare o altri strumenti tecnologici per tenere tranquillo il
bambino che aspetta. Si rischia di creare dipendenza e uno stato eccitato
innaturale. Inoltre il bambino impara ad eludere l’attesa e non la utilizza per
mettere in moto la mente.
Infine il punto più importante. I genitori non siano dei “fanatici” del “fai
qualcosa”, “non stare senza fare nulla”. La pausa senza azione è un
momento importante in cui la mente lavora in libertà e fa le sue scoperte,
pensi alla mela di Newton. Non le è mai capitato che mentre aspettava senza
fare nulla le piovesse in testa la soluzione di un problema?

Incominciamo a far amare la noia anche ai nostri figli. 

 

Per dubbi o maggiori info ti aspetto in privato!

 

Arianna Cuomo - Pedagogista

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SCARABOCCHI E DISEGNO BAMBINI

Cari genitori, educatori, i disegni dei bambini non solo solo semplici
scarabocchi o simboli ma SONO FINESTRE SUL LORO MONDO
INTERIORE.

Ecco perché è bene osservare cosa, come disegnano
contestualizzando con attenzione eventuali preoccupazioni.
I disegni dei bambini cambiano notevolmente con l'età, riflettendo lo
sviluppo cognitivo e motorio.
Ecco una panoramica generale:
* Primi anni: Scarabocchi spontanei, esplorazione dei materiali e dei
colori.
* 2-3 anni: Prime forme semplici (cerchi, linee), prime rappresentazioni
di persone (omini con testa e gambe).
* 3-4 anni: Disegni più dettagliati, comparsa di elementi come occhi,
bocca, braccia e gambe.
* 4-5 anni: Figure umane più complesse, con dettagli come dita e capelli.
* 5-6 anni: Disegni più realistici, attenzione ai dettagli e alla
proporzione.
* 6-7 anni: Disegni sempre più raffinati, utilizzo di prospettiva e spazio.
Fattori che influenzano il disegno:
A. Sviluppo motorio: La coordinazione occhio-mano migliora con
l'età, permettendo disegni più precisi.
B. Sviluppo cognitivo: La comprensione del mondo e delle
relazioni spaziali si riflette nei disegni.
c. Esperienze: L'osservazione di oggetti e persone, così come
l'interazione con altri bambini, influenzano la creatività.
Perché è importante osservare i disegni dei bambini?
Il disegno è:
* Strumento di comunicazione: I disegni sono una finestra sull'universo
interiore del bambino.
* Indicatore dello sviluppo: Possono fornire indizi su eventuali difficoltà
o ritardi.
* Stimolo alla creatività: Il disegno è un'attività fondamentale per lo
sviluppo cognitivo ed emotivo.
Ricorda: Ogni bambino è unico e segue un proprio percorso
di sviluppo. Non esiste un'età precisa in cui un bambino deve
raggiungere un determinato livello di abilità.
Ora vediamo insieme come poter interpretare i disegni dei
piccoli.
I disegni dei bambini sono una finestra sul loro mondo infatti sono
molto più che semplici scarabocchi. Sono una finestra sul loro
mondo interiore, un modo per esprimere emozioni, pensieri e
percezioni che a volte possono essere difficili da comunicare a
parole.
Cosa osservare nei disegni:
1. Le Figure umane:
- Dimensione: Una figura molto grande può indicare sicurezza e
autostima, mentre una piccola può suggerire timidezza o
insicurezza.
- Dettagli: Gli occhi grandi possono indicare curiosità, mentre quelli
piccoli potrebbero segnalare timidezza o diffidenza. La bocca può
esprimere emozioni: un grande sorriso indica felicità, mentre una
linea sottile potrebbe suggerire tristezza.
- Posizione: La posizione delle figure all'interno del foglio può
fornire informazioni sul rapporto del bambino con gli altri e con se
stesso.
2. I Colori:
* Scelta dei colori: I colori vivaci e caldi spesso indicano gioia e energia,
mentre quelli scuri e freddi possono suggerire tristezza o paura. (infondo
darò spiegazione più esaustiva)
3. Linee:
* Linee decise: Linee forti e decise possono indicare sicurezza e
determinazione, mentre linee tremolanti o interrotte potrebbero
suggerire ansia o incertezza.
4. Simboli:
* Sole, nuvole, alberi: Questi elementi possono rappresentare emozioni
e stati d'animo. Ad esempio, il sole può simboleggiare felicità, mentre le
nuvole possono rappresentare tristezza o paura.
Comprendere i colori nei disegni dei bambini
I colori nei disegni dei bambini possono rivelare molto sulla
loro personalità e sul loro stato emotivo.
Ecco una breve guida per aiutarti a interpretare le loro scelte cromatiche:
* Colori caldi (rosso, arancione, giallo): Spesso scelti da bambini
estroversi, vivaci e curiosi.
Il rosso può indicare anche energia e passione, mentre il giallo è legato
alla gioia e all'ottimismo.
* Colori freddi (blu, verde, viola): Più comuni nei disegni di bambini
introversi, calmi e riflessivi. Il blu è associato alla tranquillità e alla
sicurezza, mentre il verde può indicare sia calma che ribellione.
* Altri colori:
* Nero: Se usato in eccesso, può segnalare tristezza o rabbia.
* Bianco: Simboleggia purezza e innocenza.
* Marrone: È legato alla terra e alla stabilità.
Comprendere il Nero nei Disegni dei Bambini:
È comune osservare bambini che mostrano una preferenza per il colore
nero nei loro disegni. Questa scelta, apparentemente semplice, può
nascondere diverse sfumature e significati.
Cosa potrebbe significare?
* Espressione di Emozioni Profonde: Il nero può essere un modo per
esprimere emozioni intense, come tristezza, rabbia o paura, che
potrebbero essere difficili da verbalizzare.
* Fase di Sperimentazione: I bambini, soprattutto in età prescolare,
sono in una fase di scoperta e sperimentazione. Il nero, per la sua
intensità, può essere semplicemente un colore che attrae la loro
attenzione.
* Influenze Esterne: A volte, i bambini possono essere influenzati da
ciò che vedono intorno a loro. Film, libri o esperienze personali
potrebbero averli portati a associare il nero a particolari emozioni o
situazioni.
Cosa fare se ci sono sospetti?
* Osservazione Attenta: Presta attenzione al comportamento generale
del bambino. Ci sono altri segnali che indicano un disagio emotivo?
* Dialogo Aperto: In un ambiente tranquillo e sicuro, cerca di parlare
con il bambino. Chiedigli perché gli piace il colore nero, cosa prova
quando lo usa.
* Attività Divertenti: Proponi attività creative che utilizzino diversi
colori. Potresti organizzare una caccia al tesoro per trovare oggetti di vari
colori o creare un arcobaleno con i pastelli.
* Consulenza Professionale: Se le preoccupazioni persistono, non esitare
a consultare un pediatra o uno psicologo dell'infanzia o un pedagogista
esperto in infanzia e disegno.
RICORDA:
* Non esistono regole fisse: Ogni bambino è unico, quindi non esiste
un modo universale per interpretare i disegni.
* Contesto è importante: Considera l'età del bambino, le sue
esperienze e il contesto in cui ha realizzato il disegno.
* Dialoga con il bambino: Chiedi al bambino cosa ha disegnato e
cosa significano per lui i diversi elementi.

 

Se hai dei dubbi contattami e faremo una consulenza per comprenderne di più insieme!

Arianna Cuomo - Pedagogista

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ANSIA DA SEPARAZIONE

Con lo sviluppo intellettuale ed emotivo, i bambini imparano rapidamente a riconoscere e ad attaccarsi ai genitori o a chi principalmente si occupa di loro (caregiver).

Con il rafforzarsi di questo legame, i bambini spesso diventano ansiosi o si spaventano quando i genitori vanno via o in presenza di estranei. Tali paure fanno normalmente parte dello sviluppo dei bambini e si devono risolvere con il tempo.

 

Ansia da separazione

Ciao genitori, vi capita di sentire sempre piangere vostro figlio perchè non riesce a staccarsi da voi!

E’ normale,giusto e sano ma vediamo insieme perchè accade e come gestire al meglio la situazione.

L’ansia da separazione è una fase normale dello sviluppo, durante la quale i bambini sviluppano ansia quando sono separati dai genitori o da chi si occupa principalmente di loro.

Generalmente si manifesta inizialmente quando i bambini hanno circa 8 mesi e si intensifica tra i 10 e i 18 mesi.

Quando sono separati dai genitori o da chi si occupa di loro, in particolare lontano da casa, si sentono minacciati e non sicuri. Guardano ai genitori e a chi si occupa di loro per cercare sicurezza e rassicurazione.

I bambini a questa età piangono quando i genitori o chi si occupa di loro lasciano la stanza.

Il pianto indica che i bambini hanno sviluppato un senso di attaccamento verso i genitori o chi si prende cura di loro. In questa situazione il pianto è una reazione positiva! (Leggi altro articolo su come essere una base sicura per tuo figlio)

 

I genitori o chi si prende cura dei bambini possono provare a giocare a cucù con i bambini di questa età per rassicurarli sul fatto che il non vederli non voglia dire abbandono.

L’ansia da separazione continua approssimativamente fino ai 24 mesi. A questa età i bambini hanno appreso la permanenza dell’oggetto e hanno sviluppato fiducia. Per permanenza dell’oggetto si intende la conoscenza che qualcosa (ad esempio i genitori) continua a esistere anche quando non si vede o si sente.

L’ansia da separazione si risolve perché i bambini hanno appreso che i genitori o chi si prende cura di loro continuano a esistere, anche se non riescono a vederli.

I bambini hanno imparato a confidare che i propri genitori o chi si prende cura di loro torneranno. E’ importante che accada in quanto sarà più facile in futuro inserli al nido o lasciarli in caso di necessità a casa dei nonni, amici e così via.

 

Di solito, l’ansia da separazione non è una causa di preoccupazione e non richiede valutazione medica.

 

L’ANSIA DA SEPARAZIONE è DIVERSA DALLA SINDROME ANSIOSA DA SEPARAZIONE.

L’ansia da separazione è diversa dalla sindrome ansiosa da separazione, che si manifesta in bambini più grandi, 2 anni in poi.

I bambini affetti da tale disturbo solitamente si rifiutano di andare a scuola o al nido. Se grave, il disturbo da ansia da separazione può interferire con lo sviluppo normale del bambino.

I genitori non devono limitare o rinunciare alle proprie attività separate in risposta all’ansia da separazione del bambino, poiché in tal modo possono interferire con la sua maturazione e il suo sviluppo.

 

AIUTO PRATICO CON ESEMPI:

Quando i genitori sono pronti per uscire o a lasciare il bambino presso una ludoteca possono provare:

  • Ad accertarsi che chi si occupa temporaneamente del bambino sia a lui familiare
  • A incoraggiare la persona che si occupa del bambino a distrarlo con giocattoli, un gioco o un’altra attività quando i genitori vanno via
  • A limitare la risposta al pianto del bambino prima di andare via
  • A rimanere calmi e a rassicurarlo
  • A stabilire routine durante le separazioni per far calmare l’ansia del bambino
  • A far mangiare il bambino e a fargli fare un sonnellino prima di andare via (poiché l’ansia da separazione può peggiorare se un bambino ha fame o è stanco)

COME POSSIAMO FARE PER AIUTARARE I NOSTRI FIGLI A SEPARARSI DA NOI?

Se un bambino piange quando un genitore si reca in un’altra stanza della casa, deve chiamare il bambino, anziché ritornare immediatamente a confortarlo, in questo modo il bambino prende coscienza della presenza del genitore, anche se non riesce a vederlo.

L’ansia da separazione che persiste oltre i due anni può essere un problema o meno, in base alla misura in cui influisce sullo sviluppo del bambino.

Ad esempio, la maggior parte dei bambini è in qualche modo spaventata quando comincia l’asilo o il nido. Se riescono a frequentare il programma e la paura si riduce nel tempo, non è ritenuta un’espressione dell’ansia da separazione. Tuttavia, l’ansia da separazione che impedisce a un bambino di frequentare ludoteche o il nido o di giocare normalmente con altri coetanei può essere segno di un disturbo da ansia da separazione. In casi del genere, i bambini devono essere portati dal medico e avere un supporto.

 

Ansia causata da estranei: come fare!

I bambini tra 8 e 18 mesi spesso si spaventano quando incontrano nuove persone o visitano nuovi luoghi. I bambini con ansia causata da estranei piangono se si avvicina una persona che non conoscono. Quest’ansia è normale quando

  • Inizia all’età di 8-9 mesi.
  • Si risolve entro i 2 anni di età.

L’ansia causata da estranei è legata all’apprendimento da parte dei bambini a distinguere le persone familiari dagli estranei. L’intensità e la durata sono altamente variabili da un bambino all’altro.

Alcuni lattanti e bambini piccoli mostrano una spiccata predilezione per un genitore rispetto a un altro a una data età. Possono improvvisamente vedere i nonni come estranei.

I genitori devono essere consapevoli che questo comportamento deve essere previsto e comunicarlo ai nonni, evitando in questo modo una cattiva interpretazione del comportamento del bambino.

Il conforto del bambino ed evitare una reazione eccessiva al comportamento sono di solito gli unici trattamenti necessari.

Se arriva una nuova babysitter, è positivo farle trascorrere qualche tempo con la famiglia prima del giorno di inizio effettivo.

Il giorno fatidico, i genitori devono programmare di trascorrere del tempo con il bambino e la babysitter prima di andar via. Lo stesso discorso vale per i nonni, che se devono rimanere con il bambino qualche giorno mentre i genitori sono via, devono arrivare un paio di giorni prima.

Se un bambino deve essere sottoposto a esami diagnostici o essere ricoverato, portarlo allo studio del medico o in ospedale in anticipo a vedere di cosa si tratta può essere di aiuto. I genitori devono inoltre rassicurare il bambino dicendogli che saranno ad aspettarlo nelle vicinanze, indicando esattamente il luogo.

 

Se è molto intensa o prolungata, l’ansia causata da estranei può essere segno di un’ansia più generalizzata. In casi del genere, il bambino deve essere portato prontamente dal medico. I medici valutano il contesto familiare, le tecniche genitoriali e lo stato emotivo complessivo del bambino.

 

CONSIGLIO DI GIOCHI DA FARE CON I FIGLI PER AIUTARLI A GESTIRE SEMPRE MEGLIO L’ANSIA DA SEPARAZIONE:

 

  • GIOCO DE CUCU’: Gioco antico ma ricco di apprendimento per il neonato. Inizia a farlo già al compimento dei 6 mesi. Inizia con l’utilizzo delle mani, passando all’utilizzo anche di un panno per nasconderti. Aumenta gradualmente il tempo del tuo essere nascosto. Dagli 8 mesi potrebbe iniziare il piccolo ad imitarti e da lì inizierà pian piano in lui la consapevolezza che esiste un qui ed ora ma che la mamma ritorna togliendo le mani dagli occhi. Apprenderà la permanenza dell,a tua esistenza anche se andrai velocemnte in altre stanze.
  • Gioco del nascondersi: Gioca nascondendoti dietro la porta, sotto al seggiolone e imparerà che quando vai via dalla sua visuale tu ritorni.
  • Nascondi gli oggetti: Nascondere gli oggett per poco e pian piano a lungo tempo insegna la permanenza degli oggetti, imparando che il gioco era solo momentaneamente non visibile ma c’era!
  • Usa la voce: quando ti allontani, diglielo anche se è piccolo. Appena sei nell’altra stanza e senti piangere, chiamalo e rassicuralo con la voce mentre ti avvicini. Pian piano non sarà necessario andarlo a rassicurare prendendolo in braccio. Gradualmente aumenta i tempi di attesa!

Arianna Cuomo - Pedagogista

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ASPETTATIVE GENITORIALI

Le aspettative dei genitori nei confronti dei figli sono un aspetto
fondamentale della crescita, ma è cruciale distinguere tra quelle
realistiche e quelle irrealistiche.


Aspettative realistiche  vs Aspettative irrealistiche.

 

LE ASPETTATIVE REALISTICHE TENGONO CONTO DI QUESTI PUNTI:

Sviluppo graduale: Comprendere che ogni bambino cresce a un proprio ritmo e ha i propri tempi di apprendimento.
Talenti individuali: Valorizzare le capacità e gli interessi unici di ogni figlio, senza forzarlo in direzioni non adatte.
Supporto incondizionato: Offrire un ambiente sicuro e amorevole dove il bambino possa
sbagliare e imparare dai propri errori.
Obiettivi raggiungibili: Stabilire mete realistiche e celebrare i piccoli successi.

 

LE ASPETTATIVE IRREALISTICHE INVECE: 

Perfezionismo: Attendersi sempre la perfezione in ogni cosa, creando un ambiente di stress e ansia.
Confronti: Paragonare  costantemente il proprio figlio con gli altri, minando la sua autostima.
Proiezione dei propri sogni: Imporre al figlio i propri desideri e aspirazioni, ignorando le sue. Risultati immediati: Aspettarsi risultati rapidi e significativi in ogni ambito

 

Perché è importante distinguere?
* Benessere psicologico: Aspettative eccessive possono portare a bassa
autostima, ansia e depressione nei bambini.
* Relazione genitore-figlio: Un clima di tensione e frustrazione può
danneggiare il rapporto con i figli.
* Sviluppo personale: I bambini hanno bisogno di sentirsi liberi di
esplorare e scoprire se stessi, senza il peso di aspettative troppo elevate.
Come impostare aspettative realistiche:
* Comunicazione aperta: Dialogare con il figlio per comprendere i suoi
bisogni e desideri.
* Empatia: Mettersi nei panni del bambino e cercare di vedere le cose
dalla sua prospettiva.
* Flessibilità: Essere disposti ad adattare le proprie aspettative in base
alle circostanze.
* Celebrazione dei successi: Riconoscere e premiare i progressi, anche i
più piccoli.
In conclusione:
Avere aspettative è normale e sano, ma è fondamentale che siano
realistiche e supportino la crescita armoniosa del bambino. Un
equilibrio tra sostegno e autonomia è la chiave per un rapporto
genitore-figlio sano e duraturo.


Per approfondire il tema e per essere un genitore che sappia dare LIMITI
SANI e sappia Instaurare una relazione di fiducia e amore che perdura
nel tempo leggi altri miei articoli  oppure scrivi ai miei contatti per inserirti nella chat di
genitori, tutto gratuito per poter essere sempre informato.

Oppure monitora il servizio corsi e autocorsi e valuta l'dea di acquistare un corso utile per migliorarti sempre più. 

Arianna Cuomo - Pedagogista

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ARRIVO DEL SECONDOGENITO: PREPARAZIONE

Ecco una selezione di libri che puoi leggere alla tua bambina per
prepararla all'arrivo del fratellino, insieme a un elenco di attività
divertenti e coinvolgenti che possono aiutarla a vivere il cambiamento in
modo positivo.


Libri sull'Arrivo del Fratellino
1. "Il mio fratellino" di Mary Chalmers
Un libro dolce e semplice che racconta il punto di vista di un
bambino che sta per diventare fratello maggiore. Aiuta a
comprendere i sentimenti legati all’arrivo di un nuovo bambino
nella famiglia.
2. "Il mio fratellino sta arrivando!" di Guido Van Genechten
Questo libro, con illustrazioni simpatiche e testi semplici, spiega
cosa succede quando un bambino sta per diventare fratello
maggiore, affrontando temi di ansia, cambiamento e gioia.
3. "Benvenuto, fratellino!" di Astrid Lindgren
Un libro che racconta la storia di una bambina che accoglie il suo
nuovo fratellino, esplorando le emozioni di gioia e curiosità, ma
anche di gelosia.
4. "Il mio fratellino è un supereroe" di Anna Llenas
Un libro che affronta il tema del diventare fratelli e sorelle in modo
positivo e fantasioso. Aiuta il bambino a vedere l'arrivo di un
fratellino come un’avventura!
5. "Un fratellino per me" di Mary Chalmers
Un altro libro che aiuta i bambini a comprendere come cambierà la
loro vita con l’arrivo di un fratellino. Affronta emozioni
contrastanti come la gelosia e la felicità.
6. "La mia sorellina" di Rachel Bright
Pur essendo focalizzato sulla sorella, è un libro utile per aiutare un
bambino a esplorare cosa significa avere un fratellino o una
sorellina. Parla delle emozioni e dei cambiamenti che derivano
dall'arrivo di un nuovo membro della famiglia.

 


Attività da Fare per Prepararl@
all'Arrivo del Fratellino
1. Creare un Album del Fratellino Fai in modo che la bambina
partecipi alla creazione di un "album del fratellino", dove potrà
disegnare o incollare immagini e scrivere piccole note sul futuro
bambino. Questo la farà sentire coinvolta e le darà un'idea chiara
del cambiamento che sta per arrivare.
2. Prepara la Cameretta Insieme Se stai preparando la stanza
per il nuovo arrivato, coinvolgi la bambina nel processo. Falla
scegliere alcuni oggetti per la cameretta del fratellino (come
peluche, coperte o decorazioni). Questo può farla sentire
importante e parte del cambiamento.
3. Giocare a "Fare la Mamma" Giocare a prendersi cura di un
bambolotto o di un peluche può aiutare a simulare il ruolo di
sorella maggiore. Può fare il bagnetto al suo bambolotto, cambiarlo
e metterlo a letto, imitando le azioni che vedrà quando arriverà il
fratellino.
4. Fare delle Storie Insieme Racconta storie immaginarie in cui la
bambina è una super-sorella che aiuta il fratellino a crescere, a
giocare o a fare piccole cose. Usa la fantasia per farla sentire
importante e preparata.
5. Creare una "Borsa della Sorella Maggiore" Crea una piccola
borsa speciale che la bambina possa usare per prendersi cura del
fratellino. Potrebbe includere una coperta, un gioco o un peluche
che le ricordi il suo ruolo di sorella maggiore.
6. Giochi di Ruolo con il Fratellino Immaginario Fai dei giochi
di ruolo in cui la bambina interpreta la sorella maggiore che si
prende cura del fratellino. Potresti simulare diverse situazioni,
come nutrirlo, farlo dormire o cambiargli il pannolino (ovviamente
usando bambolotti!).
7. Fare una "Festa di Benvenuto" per il Fratellino Puoi
organizzare una piccola "festa" di benvenuto, dove la bambina si
prepara per l'arrivo del nuovo membro della famiglia. Potreste fare
insieme dei biglietti di benvenuto, decorare la casa, e preparare
piccoli regali per il neonato. La bambina si sentirà coinvolta e potrà
vedere il fratellino come una gioia da accogliere.
8. Creare una "Scatola delle Emozioni" Una scatola dove puoi
mettere oggetti o immagini che rappresentano diverse emozioni
legate all'arrivo di un nuovo fratellino (gioia, curiosità, amore,
ecc.). Insieme, esplorate i diversi sentimenti e parlate di come lei si
sente riguardo al cambiamento.
9. Esercitarsi a "Giocare Insieme" Fai esercitare la bambina a
interagire con i bambini più piccoli (se possibile), come con i
cuginetti o gli amici che hanno fratelli più piccoli. Mostrando come
può interagire dolcemente e positivamente con loro, sarà più
preparata per l’arrivo del suo nuovo fratellino.
10. Lezione di "Coesistenza" con il Fratellino Spiega alla
bambina che quando arriverà il fratellino, alcune cose
cambieranno (come il fatto che mamma e papà dovranno prendersi
cura di lui), ma che lei sarà sempre importante e speciale. Puoi
disegnare una linea del tempo che mostri i cambiamenti che
avverranno, come ad esempio quando la mamma andrà in
ospedale e quando il bambino tornerà a casa.
Queste attività aiutano a creare un legame positivo con il
nuovo fratellino e a preparare la bambina a un cambiamento
che, seppur emozionante, può anche causare qualche
incertezza. Ogni piccolo gesto di coinvolgimento la aiuterà a
sentirsi più preparata e meno esclusa.
Se hai bisogno di maggiori informazioni per la preparazione del
secondogenito scrivi ai miei contatti e sarò lieta di aiutarti, sostenerti sia
prima che dopo il parto!

In più nella sezione Corsi trovi due modalità di corso che puoi scegliere per prepararti al meglio! 

Ti aspetto!

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MIO FIGLIO METTE TUTTO IN BOCCA! AIUTOOOOO

METTERE TUTTO IN BOCCA E' UN COMPORTAMENTO È FISIOLOGICO CARO GENITORE MA COMPRENDO BENE IL TUO SENTIMENTO, DISAPPUNTO, PAURE.

E’ PERFETTAMENTE COERENTE CON LA SUA FASE DI SVILUPPO.

È SANO ED NECESSARIO ALLA SUA ESPLORAZIONE E CONOSCENZA DEL MONDO QUINDI, PIÙ CHE CHIEDERTI COME FAI A FARLE CAPIRE CHE NON SI FA, TI DIREI: “SICCOME LO FA, ED È GIUSTO CHE LO FACCIA, COME PUOI PRENDERE QUESTA FASE ESPLORATIVA, QUESTO MOMENTO, PIÙ SERENA E SICURA POSSIBILE PER VOI?

LA RISPOSTA STA NELL’ORGANIZZAZIONE DELL’AMBIENTE !

TI SUGGERISCO DI ANDARE A ELIMINARE DALLO SPAZIO IN CUI ABITATE TUTTI GLI OGGETTI CHE COSTITUISCONO UN PERICOLO POSSIBILE PER LEI/LUI.

FATTO QUESTO RIMARRANNO COMUNQUE DELLE COSE CHE NON HAI PIACERE CHE LEI METTA IN BOCCA E CHE NON PUOI RIMUOVERE IN QUEL CASO LAVORA SUI LIMITI. (leggi il file del NO educativo).

CI SONO COSE CHE NON VANNO PROPRIO TOCCATE O MESSE IN BOCCA: AVETE RAGIONE! COME FACCIAMO? VI FACCIO UN ESEMPIO PRATICO CHE MI RICHIEDONO TANTE VOLTE!

I LIMITI VANNO MESSI PRESTO CON ASSERTIVITÀ E CON CALMA.

 “SE PER ESEMPIO TU INDOSSI DEGLI OCCHIALI DA VISTA CHE NON VUOI CHE LEI TI PRENDA E SI METTA IN BOCCA, ALLONTANALA/O FISICAMENTE DA TE E SPIEGA CHE HAI BISOGNO DI ALLONTANARLA/O UN MOMENTO PERCHÉ GLI OCCHIALI NON POSSONO ESSERE PRESI E MESSI IN BOCCA. Oppure sposta la sua attenzione verso altri oggetti dopo aver detto no!

FALLO CON GENTILEZZA CON FERMEZZA E RIPETIZIONE: LEI/ LUI IMPARERÀ!

 

DI SEGUITO LEGGERAI ESEMPI DI ATTIVITÀ DA FARE CON I PICCOLI CONSENTENDO EPLORAZIONE, APPRENDIMENTO, MOVIMENTO, SVILUPPO PSICOMOTORIO, CALMA E SVILUPPO DI ATTENZIONE:

CONSENTI DI METTERE TUTTO IN BOCCA DURANTE QUESTE ATTIVITÀ! È OTTIMALE PER IL SUO BENESSERE E SVILUPPO EVOLUTIVO!

 

ELENCO GIOCHI:

- GIOCHI CON OGGETTI DI CUCINA COME MESTOLI, CONTENITORI, COPERTI, PENTOLINI, POSATE.. (attenzione ai tappi ed oggetti corti e sottili o tondi piccoli).

- GIOCHI ACQUA O PITTURA NATURALE: PITTURA CON ACQUA, PITTURA CON LO YOGURT O CON IL COLORANTE ALIMENTARE O CON ALIMENTI NATURALI (FRULLARE VERDURA O FRUTTA CHE ABBIANO UN BEL COLORE E FARLI PITTURARE).

(Ricetta di come si realizzano i colori naturali: bastano 4 ingredienti base per iniziare a divertirti:

  • una tazza di amido di mais
  • una tazza di farina
  • due cucchiai di sale
  • tre tazze di acqua

a questa base dovrai aggiungere frutta, verdura o spezie, come ti indicheremo di seguito. tieni da parte dei barattolini di vetro in cui trasferire il colore. il colore si mantiene, in frigo, per circa due mesi.

come si fa:

  • innanzitutto bisogna mettere gli ingredienti in una ciotola, amalgamandoli con il cucchiaio di legno o il mixer da cucina. il risultato deve essere un composto liquido liscio e omogeneo.
  • il composto va poi trasferito in un pentolino e fatto scaldare a fuoco basso: deve diventare più denso, fino a raggiungere la consistenza dei colori a tempera.
  • a questo punto versa l’impasto nei diversi contenitori, dove andrai ad aggiungere il colorante naturale.)

- GIOCHI CON PEZZOLINE, FILI E COSÌ VIA...

- ATTIVITA’ CON MATERIALE DI VARIA CONSISTENZA COMMESTIBILE. i bambini amano sporcarsi, mordicchiare, lanciare. consentiglielo di farlo organizzando l’ambiente e il materiale. se c’è bel tempo sfrutta di fare tante attività fuori, all’aperto.

 

 

Dr.ssa Arianna Cuomo - Pedagogista

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MIO FIGLIO LANCIA TUTTO!

LANCIO DEGLI OGGETTI: PERCHE’ LO FANNO? COSA POSSO FARE PER EVITARLO?

Grande è la felicità che accompagna le iniziali importanti, conquiste del bambino.

Le prime parole, così come i primi passi, vengono festeggiati gioiosamente. Non altrettanto avviene, però, quando il bambino inizia a far cadere gli oggetti…

E se vi dicessi che, per quanto incredibile, anche questa è una scoperta, una condotta motivata e sensata?

Il lancio degli oggetti costituisce una importante tappa dello sviluppo, una fase che più o meno tutti i bambini attraversano e che, vi assicuro, se gestita correttamente ha una durata limitata nel tempo.

Ma partiamo dal principio!

 

Perché i bambini lanciano gli oggetti?

Questa condotta può iniziare a manifestarsi anche prima dell’anno d’età ed ha, essenzialmente, una ragione conoscitiva.

Esatto, avete capito bene: lasciando cadere gli oggetti il bambino cerca di comprendere la realtà.

È probabile che la prima volta ciò accada per caso. Supponiamo che il bambino sia seduto a tavola e, all’improvviso, l’oggetto con cui sta giocando cada a terra. Per toccare il pavimento l’oggetto impiegherà un certo tempo e nel farlo produrrà un certo suono. L’esperienza probabilmente affascinerà il bambino, che, nel tentativo di comprendere il funzionamento del meccanismo causa-effetto, sicuramente vorrà ripeterla!

Teniamo sempre a mente che la ripetizione è il mezzo con cui il bambino apprende. Per questa ragione è probabile che, da quella fatidica prima volta, il bambino inizierà a studiare il misterioso meccanismo della gravità e la fisica dei corpi.

Scoprirà così che alcuni oggetti producono rumore, mentre altri no; che alcuni oggetti rimbalzano, mentre altri rimangono a terra; verificherà persino che alcuni oggetti possono rompersi!

Per quanto possa risultare dura da credere, quindi, lasciar cadere oggetti non è una sfida che il bambino muove all’adulto.

Si tratta piuttosto di una condotta conoscitiva, attraverso la quale il bambino cerca, per così dire, di “prendere le misure”, verificare l’estensione del loro corpo nello spazio e sperimentare le distanze in relazione ad esso.

Tale abilità, inoltre, permette loro di rafforzare il concetto di permanenza dell’oggetto e di esercitare le proprie abilità motorie e la coordinazione oculo-manuale.

Insomma, non intestardiamoci a considerarlo un dispetto: si tratta a tutti gli effetti di una necessità per il loro sviluppo motorio e psicologico.

 

Ulteriori cause

Di frequente si registra un intensificarsi di tali condotte tra i 18 mesi e i 3 anni.

È opportuno segnalare che spesso, intorno a questa età, le sue ragioni possono essere più complesse e diversificate.

In questo caso, il suggerimento che mi sento di offrirvi è di trattenervi dal re-agire e sforzarvi di osservare la condotta del vostro bambino. Sarà questa a rivelarvi le ragioni di fondo all’azione.

Probabilmente scoprirete che il vostro bambino era in quel momento particolarmente stanco, frustrato o annoiato e che, non avendo ancora le capacità linguistiche per esprimere questo suo sentire, ha adottato questa modalità alternativa di comunicare con voi.

Questa consapevolezza sarà per voi un nuovo punto di partenza dal quale iniziare ad agire.

 

CONSIGLI PER LIMITARE ED ELIMINARE QUESTO COMPORTAMENTO.

Alcuni consigli per attraversare questa fase ( 6 mesi - 12 mesi)

Riguardo agli esperimenti compiuti dai più piccoli, trovo esemplare l’episodio riportato da Maria Montessori in  Il bambino in famiglia:

“Sembrava che la bambina avesse uno scopo nel far cadere il sonaglio e nel rivolerlo subito dopo […] la madre saggia si limitava a raccogliere pazientemente e restituire il sonaglio. Prendeva parte, così, all’attività della sua figliolina e capiva la grande importanza che aveva per lei il ripetersi di questo esercizio”.

 

Questo non significa, naturalmente, lasciare che il bambino getti ogni cosa a terra, mettendo in pericolo gli oggetti e se stesso.

 Il segreto sta nella prevenzione.

Invece di cercare inutilmente di impedire al nostro bambino di lanciare oggetti, concentratevi sul limitare ciò che può lanciare e dove.

Lasciate a sua disposizione solo materiali sicuri e offritegli delle attività che soddisfino questo suo bisogno di scoperta e di crescita. Oltre a palline di vario materiale e grandezza è possibile, ad esempio, cucire piccoli sacchetti di stoffa riempiti di legumi secchi.

E quando il bambino getta qualcosa di inappropriato?

Centrale sarà la vostra risposta: niente sorrisi né, all’opposto, rimproveri. Sarà sufficiente fermare la condotta ribadendo in modo serio ma senza rabbia: “No, il libro si legge, non si getta.”

Se la condotta dovesse reiterarsi, meglio togliere l’oggetto: “Così si rompe e non potremmo più utilizzarlo. Adesso lo metto via“.

Se il momento lo consente sarà possibile proporre al bambino l’alternativa lecita: “Vedo che vuoi tanto lanciare. Vuoi fare questa bella attività?

È molto probabile che questo processo debba essere ripetuto molte volte prima che la regola si radichi nel bambino, ma niente paura: i risultati arriveranno.

Altrettanto importante sarà la coerenza dimostrata dagli adulti di riferimento. Un limite giusto deve essere rispettato da ogni membro della famiglia per essere interiorizzato.

 

SOLUZIONI PER I BAMBINI PIù GRANDI 15 MESI +

Come detto, il lancio degli oggetti può essere una condotta adottata dai bambini più grandi quale forma di comunicazione.

La via più efficace, in questi casi, consiste nell’aiutare il bambino a dare voce al proprio sentire.

Se, ad esempio, nel bel mezzo di una attività il bambino improvvisamente getta via il materiale, è possibile che ciò sia dovuto alla frustrazione di non riuscire a svolgere il compito.

In questo caso un possibile intervento consiste nell’avvicinarsi e con calma dirgli: “Mi sembri frustrato… La torre non sta dritta? Puoi dirmi ‘Aiuto’ se hai bisogno di me” e, volendo, aggiungere: “Non roviniamo i cubi. Magari mettiamoli via per un po’“.

Così facendo lo aiutiamo a prendere consapevolezza del suo stato d’animo e della sua condotta, responsabilizzandolo rispetto ad essi ed aiutandolo a dargli voce.

 

 

RICAPITOLANDO SCHEMATIZZO DEI PUNTI PER FACILITARE NEL PRATICO IL GIUSTO COMPORTMENTO DA ADOTTARE:

  1. Guardate il piccolo negli occhi e ditegli che non si fa

Quando il bimbo sembra lanciare di proposito un oggetto addosso a qualcuno, per prima cosa è importante fargli capire subito, in modo chiaro, che non è un comportamento accettabile. Secondo la psicologa, è opportuno prenderlo in braccio e cercare il contatto visivo dicendo con calma: 'No, non si fa! Capisco che sei arrabbiato ma non puoi distruggere casa o far male alle persone!'.

"In questa fase di vita del nostro bambino, intorno ai 18 mesi, ma anche dopo, è fondamentale che i messaggi siano brevi per essere efficaci perché il piccolo non riesce a elaborare discorsi troppo lunghi".

  1. Osservate il bimbo e cercate di individuare in quali occasioni lancia gli oggetti

Per mettere fine a questi episodi che possono avere conseguenze negative per chi è intorno al pargolo 'lanciatore' (o per la casa!), è fondamentale osservarlo con attenzione.

"Monitorare in quali contesti avvengono questi comportamenti o in che periodo della giornata è molto importante per risolverli. Occorre anche tener presente i bisogni del bimbo: a volte, in città, non ha abbastanza occasioni di stare in uno spazio libero dove dare sfogo alle sue energie".

Sarebbe utile capire se il bimbo tende ad attuare questo comportamento in relazione a persone particolari perché potrebbe essere una reazione di fastidio, insofferenza, o stanchezza. (Fratellino, nonno, cuginetto, compagno di un genitore separato..).

  1. Se il bimbo scaglia gli oggetti quando è arrabbiato,

occorre aiutarlo a gestire le emozioni

Se osservando il bimbo, il genitore comprende che il lancio di oggetti è una manifestazione di rabbia, è indispensabile aiutarlo a 'nominare' le sue emozioni. Questo significa accompagnarlo gradualmente a riconoscere i suoi stati d'animo.

Allo stesso tempo, è necessario spiegare che tutte le emozioni sono accettate (per esempio: 'La mamma ti capisce, sei arrabbiato... stanco... felice! ma alcuni comportamenti no.

Una possibile strategia in questi momenti è anche quella di provare semplicemente a distrarlo proponendo un gioco per lui attraente. In questo modo, è possibile spostare la sua attenzione verso un'attività adeguata.

  1. Ogni piccolo è diverso e ha i suoi tempi

 ma alla fine impara ad autoregolarsi

In ogni caso, è bene tenere presente che non esiste una ricetta unica per tutti: "ogni bambino ha la sua individualità e va rispettata"!

A volte, il bimbo agisce così, per esempio, per il semplice fatto che si sente trascurato o vuole attirare l'attenzione dell'adulto. E, se lancia un oggetto in modo brusco, molto probabilmente il genitore non gli toglierà gli occhi di dosso.

In questa fase, un accorgimento,semplice ma utile, è quello di prevenire certi comportamenti tenendo fuori portata oggetti che potrebbero essere pericolosi (a tavola, per esempio, meglio fare attenzione a dove si appoggiano le stoviglie e, in generale, soprammobili e oggetti pesanti devono essere ben riposti).

Comunque, la tendenza a lanciare gli oggetti è una fase transitoria (peraltro diffusa) che molti bimbi attraversano. Ai genitori può sembrare durissima ma piano piano il bimbo capisce l'effetto dei suoi comportamenti e diventa capace di autoregolarsi.

  1. Lasciate al bambino la libertà di sperimentare

 purché non faccia male a sé e agli altri

E’ importante lasciare al piccolo la possibilità di sperimentare purché non faccia male a se stesso e agli altri.

"In questa fascia d'età, il bimbo attraversa il periodo senso-motorio, come l'ha definito il noto psicologo J. Piaget: vuole esplorare il mondo e osservare l'effetto delle sue azioni.

Per lui è una soddisfazione sentire il rumore che fa quell'oggetto quando cade, o osservare quanto va lontano, si sente, finalmente, efficace nell'agire sul mondo.

In conclusione

Per quanto apparentemente semplice, è perfettamente normale che tali condotte mettano alla prova l’adulto.

Il mio intento qui è però quello di dirigere la vostra attenzione sul modo in cui leggiamo questi comportamenti.

Sfide, dispetti, capricci... Molti sono i modi in cui vengono tradizionalmente definiti. Essi sono invece, molto più semplicemente, forme di comunicazione, tanto dei propri bisogni di crescita quanto delle proprie difficoltà.

Sta a noi adulti comprenderlo e aiutare i più piccoli ad adottare condotte più consone ed efficaci.

Leggi altri articoli utili nel mio sito web oppure contattami!

Dott.sa Arianna Cuomo

 

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CAPRICCI: CRISI DI RABBIA O DI PIANTO

COSA C’È DAVVERO ALL’ORIGINE DEL CAPRICCIO? COS’E’ UN CAPRICCIO IN REALTA’?

Cominciamo col dire che il termine capriccio viene usato in realtà a sproposito per descrivere quelle voglie improvvise o bizzarrie spesso di breve durata del bambino che noi genitori tendiamo o meno a soddisfare. Un semplice pianto a volte viene identificato subito come un capriccio o un vizio. Non è così...

VEDIAMO INSIEME IL PERCHE’!

Lo “scatto d’ira” o “rabbia non controllata” è decisamente più appropriato, in quanto descrive bene l’incapacità del piccolo di regolare emozioni e comportamenti.

È infatti importante chiarire che questi atteggiamenti ai nostri occhi tanto sconvenienti ed eccessivi non sono immotivati, né tantomeno futili.

Alla base di uno scatto d’ira o di rabbia incontrollata è sempre possibile individuare un perché e cioè un bisogno implicito, che chiede a gran voce di essere riconosciuto e convalidato. Occorre quindi EMPATIA, essere adulti empatici (per saperne di più sull’empatia c’è un’altro articolo).

 

ESEMPIO PRATICO DI UN “CAPRICCIO” SENZA UN NOSTRO APPROCCIO EMPATICO:

- Facciamo un esempio. È mattina presto e il nostro bambino non vuole proprio saperne di prepararsi. Gli proponiamo persino di indossare la sua maglia preferita, ma lui risponde che non gli piace più e inizia un pianto inconsolabile (che può portare anche ai cosiddetti “SPASMI AFFETTIVI), getta persino via il capo d’abbigliamento.
Davanti a una condotta del genere in molti si lascerebbero sopraffare dal nervosismo e, vista anche la fretta di uscire, andrebbero a reprimere il comportamento con durezza vestendo a forza il bambino (non senza qualche minaccia e una certa fatica!). Si crea così una vera e propria lotta di potere dalla quale, però, entrambe le parti escono sconfitte.

COME POTEVAMO RISOLVERLA SENZA SCATURIRE UNA LOTTA CHE CAUSA SOLO DISPIACERI, SENSI DI COLPA E NON GESTIONE EMOZIONALE DEL PICCOLO?

La situazione, probabilmente, si sarebbe potuta svolgere diversamente se l’adulto, invece di impuntarsi, avesse cercato di porsi in ascolto empatico.

 - Nel nostro esempio magari il vero problema del bambino non era “quale maglia indossare”, ma piuttosto la consapevolezza che una volta pronto sarebbe dovuto andare all’asilo, separandosi dal genitore! ;)
Ecco allora che quella reazione, per noi illogica, sproporzionata e insensata, acquisisce improvvisamente significato.

Con quel comportamento il bambino stava cercando di comunicare, seppur in maniera inefficace, qualcosa che non era ancora in grado di dire a parole: la paura e la tristezza di doversi separare dalla persona amata.

COSA ABBIAMO CAPITO DALL’ESEMPIO PRATICO?

E’ importante che noi adulti responsabili, capaci di autoregolarizzarci, capaci di comunicare ed attenti a cosa si nasconde dietro uno scatto d’ira del nostro piccolo, IMPARIAMO A NON MINIMIZZARE I VISSUTI DEI BAMBINI.

IL nostro compito dovrebbe essere aiutare il bambino a chiarire quel vissuto e ad esprimerlo, offrendogli quelle parole che ancora gli mancano:

«Mi sembri triste. Che cosa succede? Vorresti stare ancora con me? Lo capisco, anche a me piacerebbe molto passare ancora del tempo con te».
Si tratta di decentrarsi per fare spazio alla comprensione di ciò che il bambino sta sperimentando, percepire ciò che sta sentendo e comunicargli che ha il diritto di provare ciò che prova!

- RICORDATI CHE UN BAMBINO PICCOLO, FINO AI 6 ANNI, PUò NORMALMENTE ESPERIRE DI STATI DI DE- REGOLAZIONE DI FRONTE A EMOZIONI FORTI.

Dietro ad alcune crisi di pianto, o di rabbia, non c’è sfida, nè provocazione, nè consapevolezza di far star male l’altro.

Dietro a quel capriccio c’è sicuramente un’emozione bloccata, un problema che aspetta solo te, adulto/genitore, per essere ascoltata, accolta e riequilibrata con l’utilizzo delle parole che ancora non si è capaci di utilizzare.

 

CONCLUSIONI E RIELABORAZIONE DI COS’E’ UN CAPRICCIO E COSA SI NASCONDE DIETRO DI ESSO

Le cosiddette “scenate” quindi sono il risultato della frustrazione che esprime il piccolo nel non riuscire a fare qualcosa o nel non essere compreso.
Ricordiaci: Un bambino non piange senza motivo! Il problema è che noi non comprendiamo la sua motivazione, ma c’è, sempre!Quindi, i cosiddetti capricci, i pianti, le grida, le disobbedienze, le bugie, lo spirito di distruzione, sono delle richieste di aiuto. L’adulto, convinto che si tratti del carattere del bambino, cerca di correggerlo, anche con metodi duri e a volte ingiusti (le punizioni).
Invece di sgridarli continuamente o ricattarli, bisognerebbe dare loro gli strumenti adeguati per esprimersi nel modo giusto.

 

2.COSA FARE PER PREVENIRE I CAPRICCI?

I capricci spesso sfociano in manifestazioni di rabbia: questo sentimento inizia ad affiorare dai 18 mesi in poi, quando i bambini vogliono difendere i loro desideri ed interessi.

Gestire queste situazioni può essere complicato e a volte anche doloroso (psicologicamente per l’adulto) ecco perché è utile sapere come prevenirli.

Quando diciamo ai nostri figli di non fare qualcosa si possono generare in loro una serie di emozioni che non sanno gestire e che esplodono sotto forma di capricci. A volte si tratta di vere e proprie scenate che vorremmo tanto evitare :)!

Tendenzialmente, quando i bambini compiono 5-6 anni, si nota una drastica diminuzione dei capricci: con il tempo infatti il piccolo inizia a migliorare le proprie capacità linguistiche e a sviluppare le prime, basilari modalità di autoregolazione emotiva.

Ciò non significa, però, che i capricci scompaiano del tutto.

Anzi, è perfettamente normale che anche i bambini in età prescolare e scolare ne cadano preda.

Per alcuni di loro, infatti, potrebbe essere necessario maggiore tempo per imparare a regolare le emozioni più forti o per esprimere e modulare vissuti impegnativi come la frustrazione, la gelosia o la noia. La causa potrebbe anche individuarsi in una difficoltà dei bambini a gestire particolari situazioni (ad esempio a scuola o nella relazione con i coetanei) o condizioni (stress, ansia eccetera).

 

Anche nel caso dei bambini più grandi, è importante ricordare che davanti a una crisi minacciare o punire non è la soluzione; non a lungo termine, almeno. Cerchiamo piuttosto di creare uno spazio sicuro, dove possano sentirsi protetti e contenuti, e quando saranno pronti a parlare proviamo a far leva sulle loro capacità comunicative, incoraggiandoli a descrivere come si sentono. Una volta individuato insieme il bisogno sotteso, sarà più semplice ragionare sulla soluzione e ristabilire la calma.

 

ELENCO DI CONSIGLI UTILI NEL PRATICO PER GESTIRE E PREVENIRE LA RABBIA AL MEGLIO

  Maggiore autonomia e indipendenza: riadattare la casa a misura di bambino in modo che il piccolo possa svilupparsi autonomamente avendo a disposizione i propri giocattoli, strumenti e libri, potendoli sceglierli e rimetterli a posto in modo autonomo.

  Parlare sempre con rispetto, amore ed empatia: il tono da usare è lo stesso che si utilizza con gli adulti.

  Mettersi al loro livello: è importante comunicare con i bambini mantenendo il contatto con gli occhi e dunque “abbassandosi” al loro livello, chiamandoli per nome e parlando dei loro sentimenti e dei nostri. (Io amo usare la frase: eleviamoci alla loro altezza).

  Stabilire una routine: se il bambino conosce le attività che sono programmate le accetterà più facilmente ed eviterà di arrabbiarsi. Aiutati con i pannelli visivi che puoi creare tu con semplicità!

  Occhio a fame e sonno: la stanchezza e la fame aumentano la probabilità di avere degli scatti d’ira. Programmate sempre bene l’ora dei pasti e della nanna. Riportare anche questi momenti nella routine tipo all’interno del pannello visivo.

  Affrontare le nuove esperienze: Uscire dalla zona di comfort per i bambini non è facile. Se c’è da affrontare una nuova situazione basta spiegare di cosa si tratta per evitare sorprese e il sopraggiungere dell’ansia. Ricordiamoci che anche per noi adulti non è facile gestire le emozioni quando c’è un cambiamento o una nuova attività da fare!

  Rispondi alle sue necessità: un bambino dopo aver trascorso la giornata a scuola ha bisogno di muoversi, giocare e stare all’aria aperta. Bisogna rispettare le sue esigenze e adattare la propria organizzazione della giornata anche considerando questo aspetto. Se sta in un luogo chiuso a fare attività seduto tutto il giorno è più facile che la sua energia inespressa si trasformi in rabbia e capricci.

  Definisci con chiarezza le regole: ci sono cose sulle quali non si negozia (ad esempio sedersi e legarsi sul seggiolino auto) ma bisogna sempre spiegare al bambino con un linguaggio a lui comprensibile il perché siano così importanti. Ricordiamoci che ci sono dei limiti NO che vanno SEMPRE rispettati. L’uso di un plan della giornata tipo con all’interno le regole è ottimale!

  Sottolinea gli aspetti positivi: anche quando un bambino non vuole fare una cosa si può trovare in essa il lato positivo da fargli vedere. Ad esempio si va dal dottore a fare il vaccino e di fianco allo studio c’è una gelateria buonissima dove comprare un mega gelato!

  Empatia: è importante mettersi nei panni del bambino e guardare le cose dal suo punto di vista.

  Parlare e relazionarsi con rispetto: non riusciremo a mantenere un buon dialogo con il nostro bambino se con le altre persone di casa non sappiamo discutere con rispetto.

  Nessun ricatto: il ricatto è un’arma doppio taglio. Si entra spesso in una spirale da cui è difficile uscire ( Per educare senza punizioni ti aspetto pe altri consigli utilissimi).

  Farli scegliere: invece di imporre sarebbe bene lasciare che il bambino prenda da sé la decisione. Ovviamente non bisogna lasciargli il massimo della libertà ma ad esempio proporgli 2 opzioni. (Ad esempio: maglietta bianca o rossa? Palline o puzzle?Scarpe rosa o rosse? ... ) Anche quando si va a comprare qualcosa per loro come le scarpe è bene non imporsi nella scelta ma far scegliere a loro (ovviamente siamo noi a proporre due scarpe che piacciono a noi o che riteniamo utili per un attività da svolgere).

  Attirare la sua attenzione: se si nota che la rabbia è causata da un gioco, da un’attività, da un ambiente o dalla stanchezza si può cercare subito di deviare la sua attenzione su qualcos’altro o usando umorismo.

  Usa un linguaggio positivo: esprimersi sempre in modo positivo. Ad esempio se sta lanciando un oggetto non dire “non tirarlo” ma “Fai attenzione! Se lo tiri potresti romperlo o farti male!”. (Per altri esempi vai nel mio blog).

  Se si arrabbia: Tu genitore non perdere la calma. Respira profondamente e donagli un abbraccio!

 

Il segreto è la pazienza! Ma quanta fatica vero? (per saperne di più su come gestire l’urlo e la stanchezza genitoriale ti aspetto in altri articoli presenti sulla mia pagina).

 

Sbagliare è umano e il lavoro del genitore è il più difficile al mondo!

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LITIGI FRATERNI

  1. COME AFFRONTARE AL MEGLIO LITIGI LEGATI ALLA GELOSIA
  2. QUANDO E COME è GIUSTO INTERVENIRE IN UNA LITE TRA FRATELLI?
  3. COME GESTIRE I CONFLITTI LEGATI AD UNA DIFFERENZA DI ETà?
  4. COSA FARE IN CASO DI LITIGI

Tra fratelli possono scoppiare liti furibonde ed è normale che ciò accada. Dobbiamo tenere presente che un conflitto tra bambini non è una rissa tra adulti e non c’è molto da preoccuparsi. Infatti, i bambini si arrabbiano solo con gli amici e con i fratelli, cioè con coloro che amano di più dopo i genitori. Questi micro-conflitti in genere hanno sempre la stessa motivazione: un interesse comune.

Ci si contende un giocattolo o il posto sul divano accanto alla mamma: i bambini tendono ad esternare immediatamente ogni conflittualità, senza filtri.

Per risolvere gli screzi che si vengono a creare, è importante che l’adulto aiuti promuovere e aiutare la comunicazione e il confronto tra i fratelli. Deve essere un mediatore, ma non un “giudice”.

L’adulto deve aiutare i bambini a trovare un accordo offrendo con la sua presenza un modello di risoluzione dei conflitti.
Ciò significa, ad esempio, che le discussioni dovrebbero essere gestite in maniera tale da indicare ai piccoli i modi costruttivi per confrontarsi e scontrarsi, nel rispetto dell’altro e di sé stessi.

 

 

  1. COME GESTIRE I CONFLITTI TRA FRATELLI E SORELLE LEGATI ALLA GELLSIA

“I fratelli litigano per interesse reciproco, ovvero perché sono coinvolti da un interesse verso gli stessi giocattoli, oppure litigano perché si contendono le attenzioni della mamma”. Come è giusto che sia, ogni figlio vuole tutto per sé, ma parlare di “gelosia” è eccessivo.
“I bambini non litigano con gli estranei, litigano gli amici più stretti, o con i fratelli, cioè con le persone con cui sono maggiormente legati. Il genitore deve gestire tutto questo. Come ? “Deve aiutare i bambini a scambiarsi la propria versione dei fatti. Litigare fa parte del gioco.”

 

  1. MA È GIUSTO O NO INTERVENIRE NEI CONFLITTI TRA FRATELLI?

“I genitori non devono cercare il colpevole e in ogni caso non devono cercare la soluzione: qualsiasi soluzione degli adulti è diversa dal pensiero infantile.”

“Ecco cosa fare: aiutare i bambini a scambiarsi la propria versione dei fatti, le proprie ragioni senza entrare nel merito, senza dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: ci pensano loro. L’importante è che i fratelli si parlino, che comunichino”. La comunicazione è la chiave di tutto.
“Alla fine sono loro stessi a cercare un accordo: a volte c’è e a volte non c’è, ma l’importante è che imparino a litigare bene da piccoli.”

 

 

  1. COME GESTIRE I CONFLITTI TRA FRATELLI E SORELLE LEGATI ALLA FORTE DIFFERENZA DI ETÀ?

“Dipende dall’età, se un figlio è adolescente e l’altro e nella sua infanzia c’è una differenza sostanziale nelle fasi della vita: un adolescente tende a essere sopra le righe e a non curarsi del fratellino, quindi il genitore deve accontentarsi che sappiano cavarsela da soli nel risolvere il conflitto. L’età giusta in cui questo metodo può essere applicato per una gestione ottimale dei litigi è tra i 3 e i 10 anni.”

Le discussioni, quindi, dovrebbero essere gestite in maniera tale da trasmettere ai propri figli i modi costruttivi per confrontarsi, nel rispetto dell’altro e di sé stessi.

 

  1. COSA FARE IN CASO DI CONFLITTI CONTINUI TRA FRATELLO E SORELLA?

“In caso di conflitti continui bisogna applicare il metodo sopra citato e ma bisogna in ogni modo evitare che il litigio diventi un problema dei genitori, perché se i figli attribuiscono al genitore un ruolo di “giudice”, potrebbe verificarsi un’intemperanza verso i genitori, una continua richiesta di intervento. Occorre creare la giusta distanza e fare in modo che i bambini sappiano gestire tra di loro le proprie conflittualità”.

 

 

LITI TRA FRATELLI: QUALCHE CONSIGLIO PRATICO

  • NORMALITA’

Le liti tra fratelli sono normali, anzi:  Scontri e battibecchi stimolano lo sviluppo dell’identità dei piccoli. Essi servono per differenziarsi dall’altro e trovare la propria autonomia. Le liti tra fratelli, inoltre, consentono di sperimentarsi e “prendere le misure” nel rapporto con l’altro. Quando le liti tra fratelli sono occasionali, dunque, occorre comprendere che rientrano nel normale sviluppo della relazione e svolgono una funzione positiva di crescita.

Come in ogni rapporto, è da ricordare, il confronto e, a volte, lo scontro sono elementi essenziali. Spesso, infatti, ci preoccupiamo delle liti tra bambini, spiegando loro di non bisticciare. In realtà, forse, sarebbe più importante spiegare ai bambini come litigare bene, per fare in modo che  ogni confronto sia qualcosa di costruttivo, e non di distruttivo.

Le liti tra fratelli, inoltre, sono anche un terreno utile per allenarsi a livello relazionale. Nella relazione fraterna, infatti, i bambini spesso si “spingono” di più rispetto a quello che fanno con altri amici. Qui sperimentano lo scontro acceso, vivendone le conseguenze, ma in una situazione “controllata”. Dopo mezz’ora, infatti, tornerà tutto come prima. Le liti tra fratelli, dunque, sono anche delle sperimentazioni rispetto alle modalità relazionali che si possono mettere in atto in ambienti extrafamiliari.

 

  • ATTESA

Spesso, appena si sente discutere c’è il desiderio di intervenire per sedare le liti tra bambini. In realtà, è importante aspettare il momento opportuno per accorrere, in modo tale da lasciare il tempo ai bambini di trovare una mediazione. Come già detto, non si può insegnare ai bambini di evitare di litigare, ma occorre loro aiutarli a capire come farlo in maniera costruttiva. Quando questo non avviene da sé, invece, e la situazione non trova soluzione e tende a degenerare, la presenza dell’adulto può offrire un modello di risoluzione dei conflitti funzionale.

Aspettare il momento migliore per intervenire non è semplice, ma è importante abituarsi a osservare e supervisionare la situazione. Lasciando ai bambini la possibilità di sperimentare e aiutandoli a trovare un modo utile per confrontarsi, anche gli scontri possono diventare momenti di crescita.

 

  • CALMA

Mediare un conflitto necessita di calma, per i bambini e per gli adulti. Per questo è importante, dopo aver interrotto il litigio, concedere un momento di rilassamento, prima di affrontare l’argomento. Parlarne a caldo, infatti, rischia di diventare controproducente, sia per i bimbi che per i grandi. Aspettare a parlarne quando si è più tranquilli, invece, permette di mettere pensiero su ciò che è successo e discuterne in maniera più costruttiva.

 

  • MEDIAZIONE

Il complesso ruolo dei genitori durante un litigio non è quello di giudice, ma di mediatore del conflitto. Non serve capire chi ha ragione o chi ha torto, ma comprendere le motivazioni che hanno acceso le liti tra fratelli e capire cosa si può fare per trovare una soluzione. Trovare un compromesso non è semplice, ma è anche attraverso questi episodi che i bambini imparano a gestire le relazioni.

Anche in questo caso, l’esempio degli adulti di riferimento è molto importante. Non solo con quello che consigliano ai bambini di fare, ma anche offrendo modelli da prendere esempio nella quotidianità. Ciò significa, ad esempio, che le discussioni dovrebbero essere gestite in maniera tale da trasmettere ai piccoli i modi costruttivi per confrontarsi e scontrarsi, nel rispetto dell’altro e di sé stessi.


Stabilisci in anticipo alcune regole

A volte i bambini sono molto bravi a portare i genitori all’esasperazione costringendoli a intervenire. Se avete letto l’articolo su come funziona il metodo maieutico per la gestione dei litigi tra fratelli, sapete che meno il genitore interviene, meglio è, oppure che deve intervenire come dicevo al punto precedente. Come fare, quindi, quando i figli arrivano a mettersi davvero in pericolo oppure urlano talmente tanto da infastidire anche il più paziente dei genitori? Può essere utile stabilire in anticipo, in un momento di calma, alcune regole importanti per mantenere un buon clima famigliare, comprese le conseguenze in caso di mancato rispetto. Per esempio può essere che si deve tenere un volume non eccessivamente alto della voce quando si è in spazi comuni: ne consegue che se i due contendenti non sono in grado di abbassare il volume, il litigio deve continuare nella loro stanza. Oppure se la regola vieti di lanciare oggetti di casa, nel caso in cui ciò avvenga i bambini devono sapere che a quel punto il genitore deve intervenire per interrompere il litigio con la modalità decisa in precedenza

 

E’ sempre, però, importante concedere del tempo per autoregolarsi da soli.

Scrivimi per maggiori info. Vai nella sezione contatti o in consulenza on line

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EMOZIONI: COME SI INSEGNANO E COSA SONO DAVVERO?

LE EMOZIONI VANNO ACCETTATE TUTTE PERCHè ESSE SONO DI VITALE IMPORTANZA PER LA NOSTRA SOPRAVVIVENZA, INTERAZIONE SOCIALE E RIFLESSIONE INTERNA.

Queste si sono originate nel corso dello sviluppo filogenetico da quelle primarie e sono una combinazione di esse. Ne sono un esempio:

Sono anche definite emozioni sociali: servono per favorire la cooperazione e la coesione del gruppo, ci aiutano a vivere con gli altri e a integrarci.

Le differenze tra emozioni primarie ed emozioni secondarie sono state oggetto di studio per molti accademici. Tuttavia il metodo più ampiamente accettato si basa sui seguenti punti:

  • le emozioni primarie si manifestano spontaneamente senza richiedere un’analisi consapevole. Emergono in risposta a stimoli immediati e istintivi, senza la necessità di un approfondimento introspettivo.
  • le emozioni secondarie, al contrario, si presentano come una realtà emotiva più complessa rispetto alle emozioni primarie, coinvolgendo un certo grado di autoconsapevolezza. Sono profondamente influenzate dalla riflessione e implicano il modo in cui una persona si percepisce e interpreta il proprio mondo emotivo.

In base a criteri edonici, fondati cioè sul piacere o dispiacere che provocano, possiamo distinguere anche tra emozioni negative e positive. Questa distinzione non è fondata su un giudizio di valore: nessuna emozione è migliore o peggiore dell’altra. Hanno tutte la stessa rilevanza per il nostro benessere e per la nostra salute.

Qual è la differenza tra emozioni, sentimenti e stati danimo?

Le emozioni, sentimenti e stati d’animo sono spesso utilizzati come sinonimi. Sono, invece, fasi distinte e complementari nel nostro mondo interiore. La chiave per comprenderne la differenza risiede nel fattore tempo.

Le emozioni scaturiscono rapidamente come reazioni chimiche a specifici stimoli. Sono risposte psicofisiologiche più immediate, potenti e spesso automatiche. Quando il nostro cervello identifica il fattore scatenante, in soli 1/4 di secondo, le sostanze chimiche pertinenti vengono rilasciate nel nostro corpo, dando vita alle emozioni.

I sentimenti, d’altra parte, emergono mentre riflettiamo ed elaboriamo le nostre emozioni. Sono, più precisamente, l’esperienza consapevole e personale delle emozioni, e includono il processo cognitivo di interpretazione e assegnazione di significato alle risposte emotive. I sentimenti sono soggettivi, più duraturi e complessi, e spesso non hanno una componente fisiologica immediatamente evidente come le emozioni. Mentre le emozioni possono essere considerate universali e condivise tra persone di diverse culture, i sentimenti sono influenzati fortemente dal contesto personale, culturale e sociale.

Gli stati d’animo, infine, sono più ampi e generici. Sono influenzati da una combinazione di input diversi, tra cui l’ambiente circostante, come il tempo atmosferico o le persone che ci circondano, e la nostra attuale fisiologia, compreso dove concentriamo la nostra attenzione e quali emozioni stiamo vivendo. Gli stati d’animo hanno una durata più estesa e possono persistere per minuti, ore o addirittura giorni.

Quando l’emotività va fuori controllo?

Le emozioni a volte possono essere troppo intense rispetto alla specifica situazione che stiamo vivendo. Si parla in questo caso di disregolazione emotiva. Questo accade perché intervengono fattori appresi nella nostra storia di vita o aspetti traumatici che funzionano da amplificatori di vulnerabilità. Anche in questo caso, le emozioni sono utili e ci proteggono, ma possono essere vissute con fatica e difficoltà.

La psicoterapia può aiutarci a mettere a fuoco questi fattori di vulnerabilità e a darci gli strumenti per poter regolare meglio l’intensità dei nostri stati emotivi.

ESERCIZIO DA FARE PER GESTIRE L’URLO E PREVENIRLO: OPERAZIONE TIRAMISù:

  • Toccare Terra (caffè):non appena sentite l’urlo salire, come il caffè in una moka, fermatevi. Mettete i piedi ben piantati a terra e immaginate di scaricare tutta la vostra energia negativa nel suolo.
  • Respirare Profondamente (mascarpone): prendete un respiro profondo, come se steste annusando un vasetto di mascarpone fresco. Contate fino a quattro mentre inspirate, trattenete per quattro e poi espirate per quattro.
  • Visualizzazione (liquore): chiudete gli occhi per un secondo (solo un secondo, ovviamente non se state guidando, per l’amor del cielo!) e visualizzate un luogo felice. Potrebbe essere una spiaggia, una foresta, o anche il vostro posto preferito sul divano proprio con una porzione di tiramisù.
  • Sostituzione Verbale (cacao):ora, invece di urlare, scegliete una parola o una frase che è meno dannosa ma che esprime la vostra frustrazione. Potrebbe essere qualcosa di simpatico come “Fiddlesticks!” o “Per le rane!” o qualcosa di un po’ più... educativo.
  • Ridefinizione (un cucchiaino di zucchero): infine, tornate alla situazione con una nuova prospettiva. Avete appena creato un “tiramisù emotivo”, stratificando tecniche che vi aiuteranno a mantenere la calma. Ora, con questa nuova chiarezza, affrontate il problema come il genitore zen che ora siete.

 

Come si fa a riconoscere le emozioni?

Riconoscere le emozioni, sia proprie che altrui, non è sempre facile e richiede la capacità di interpretare diversi segnali e aspetti del comportamento e dell’esperienza umana. Per riconoscere le proprie emozioni, il primo passo è prendersi il tempo per analizzare proprie sensazioni corporee. Praticare l’introspezione e la mindfulness può aiutare a diventare più consapevoli di come gli eventi esterni o i propri pensieri influenzino le reazioni emotive.

Alcune considerazioni utili possono essere quelle di valutare le proprie reazioni fisiche, come i cambiamenti nei battiti cardiaci o nella respirazione. Questo permette di essere più consapevoli di come il proprio corpo reagisce alle diverse circostanze.

Quando si tratta di identificare le emozioni degli altri, l’osservazione attenta può essere molto utile. A questo proposito, uno degli aspetti fondamentali è prestare attenzione al linguaggio non verbale delle persone, come le espressioni del viso e le movenze del corpo. Questi, infatti, possono dare indizi importanti sulle loro emozioni. È fondamentale, inoltre, considerare il contesto in cui si trova l’altra persona, perché questo influisce significativamente su come si esprimono e si vivono le esperienze emotive.

Anche l’ascolto è una componente essenziale. In particolare, è utile concentrarsi non solo su ciò che le persone dicono ma anche su come lo dicono: il tono della voce, il volume e il ritmo spesso cambiano a seconda dello stato emotivo.

Anche semplicemente chiedere alle persone come si sentono può perfezionare la capacità di riconoscere quello che provano. Oltre a fornire chiarezza sui processi emotivi, può anche aiutare a costruire rapporti più forti e di fiducia. L’esperienza diretta e l’auto-osservazione continuano poi a perfezionare ulteriormente queste capacità nel tempo, il che significa che più ci si esercita a riconoscere le emozioni, più si diventa abili a farlo.

ESEMPIO DI COME GESTIRE UN MOMENTI DI CRISI DI RABBIA DI TUO FIGLIO O DI TRISTEZZA

Analizza la situazione, contestualizza l’accaduto forse già comprenderai perchè sta piangendo.

Non minimizzare la sua emozione ricordati che sta facendo esperienza e che il suo cervello non è sviluppato per controllare le emozioni.

PERCHE’ UN BAMBINO NON E’ IN GRADO DI GESTIRE LE EMOZIONI?

- I bambini fino ai 6 anni, non hanno il lobo centrale, la parte razionale del cervello, sviluppata. Dopo i 6 anni inizia ma per completarsi devono raggiungere i 25 anni. I bambini quindi per regolarizzare le emozioni necessitano di te adulto che sarai il suo coregolatore.

In quei momenti di crisi devi essere li ed ora con lui: sii empatico e abbi pazienza.

Attua un time in: cioè connettiti emotivamente al tuo bambino, mettiti a terra e sii calmo e aspetta dicendo sono qui per te. Non dire altro.

Attua un time out se stai perdendo il controllo: spostati dicendo al piccolo che hai bosogno di un respiro per poi essre da lui. Pratica l’esercizio del tiramisù per essere in quel qui ed ora che necessita tuo figlio per calmarsi.

Dopo aver fatto ciò, aspetta che tutto si palchi e chiedigli un abbraccio o una mano o un semplice stare insieme.

Insegnagli a comprendere quanto è successo e perchè e dagli degli strumenti utili futuri per la calma.

ESEMPI DI ESERCIZI PER INSEGNARE LA CALMA AL PICCOLO:

- TANA DELLA CALMA: angolo morbido o costruito con giochi per calmarsi. I giochi sono in elenco sotto

- Letture sulle emozioni, giochi sulle emozioni ( vedere sotto)

- Esercizi di respirazione da fare quando si è calmi per farli successivamente in una crisi di rabbia: es di giochi per insegnare la respirazione

Ottimo strumento a fisarmonica, anche i palloncini vanno bene o cannucce.

- Racconta la tua giornata e se anche tu hai vissuto momenti di crisi di rabbia, lo aiutano a non sentirsi solo.

- fate foto sulle emozioni e parlatene anche a tavola.

MI RACCOMANDO RICORDATE SEMPRE AI VOSTRI FIGLI CHE LI VOLETE BENE ANCHE QUANDO SUCCEDONO SITUAZIONI SPIACEVOLI.

 

 Dr.ssa Arianna Cuomo- Pedagogista

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AGGRESSIVITA' INFANTILE NON è VIOLENZA!

I bambini aggressivi, con i loro comportamenti, preoccupano spesso gli adulti, che non di rado reagiscono a loro volta con aggressività. Questa, tuttavia, non è una buona soluzione. Come vedremo, per gestire efficacemente l’aggressività dei bambini è opportuno comprendere innanzitutto da dove essa deriva e mantenere un atteggiamento calmo e accogliente.

I comportamenti aggressivi nei bambini compaiono di solito tra 1 e 2  anni, per continuare, talvolta, fino all’età prescolare e anche oltre. Morsi, capelli tirati, colpi inferti ai coetanei e, magari, ai genitori… Ma quali sono le ragioni alla base dell’aggressività infantile?

 

Cause di aggressività nei bambini

È bene dire subito che i comportamenti aggressivi nei bambini non sono mai gratuiti o immotivati, anzi, le loro origini possono essere complesse e diverse.

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire da dove deriva l’aggressività infantile.

Nel corso dell’età evolutiva la corteccia prefrontale, ossia l’area del cervello che ha un ruolo centrale, tra le altre cose, nella regolazione delle emozioni e nel controllo del comportamento, è ancora profondamente immatura. Questo fa sì che per i bambini piccoli sia difficile controllare i propri impulsi ed esprimere e regolare in maniera efficace le proprie emozioni. Può quindi accadere che un bambino, vivendo uno stato emotivo particolarmente intenso e non sapendo gestire quell’emozione, finisca per sfogare la propria frustrazione “fisicamente”.

In questi casi, uno stato emotivo di de-regolazione è all’origine di comportamenti aggressivi. Non si tratta, tuttavia, dell’unica causa possibile; cause altrettanto frequenti sono:

 

  la stimolazione sensoriale eccessiva;

 il dolore da dentizione;

 i tentativi di esplorazione sensoriale (spesso all’origine dei morsi);

  l’autodifesa;

  il desiderio di comprendere i meccanismi di causa-effetto (Cosa succede se faccio questo?).

Al di là delle cause, è importante comprendere che quando un bambino è aggressivo ci sta segnalando che qualcosa è fuori del suo controllo e che ha bisogno di aiuto per ritrovare l’equilibrio.

Mantenere la calma è la risposta migliore, perché si consentirà anche al bambino di tranquillizzarsi più rapidamente.

 

Bambini aggressivi e bambini violenti: è la stessa cosa?

I termini “violenza” e “aggressività” indicano qualcosa di ben diverso. Per poter parlare di “violenza” è necessario che vi sia la volontà consapevole di arrecare danno o disagio agli altri.  Prima dei 7 anni di età non è possibile parlare di “intenzionalità dell’atto violento”, e dunque tantomeno di “bambino violento”. Vero rancore o violenza non esistono nei primi anni di vita, e fino ai 10 anni circa sono davvero rari i comportamenti realmente pericolosi.

Nel caso in cui un bambino, ad esempio in età scolare, metta in atto più volte comportamenti classificabili come violenti, è di centrale importanza che gli adulti coinvolti compiano un’analisi accurata della situazione. Comprendere le cause all’origine delle condotte di un “bambino violento” (dinamiche familiari disfunzionali, consumo inadeguato dei media…) è fondamentale per progettare e attuare interventi efficaci.

 

Bambini che picchiano

L’aggressività può assumere tante forme diverse. Può esserci, ad esempio, il bambino “manesco” che picchia i propri coetanei, e in certi casi accade addirittura che i bambini si picchino da soli.

Di fronte a dei bambini che si picchiano è certamente importante intervenire in maniera decisa per porre fine alla condotta inadeguata. Ristabilito l’ordine, però, invece di punire o riprendere i litiganti, bisognerebbe mostrarsi loro “alleati”, aiutandoli a comunicare e accompagnandoli verso una soluzione positiva e verso modi più efficaci di entrare in relazione.

Anche nel caso di bambini che si picchiano da soli l’intervento più efficace è quello volto a interrompere l’azione, per poi aiutare il bambino a ritrovare, mediante l’ascolto e la vicinanza, il proprio equilibrio emotivo. Si tratta, comunque, di comportamenti che tendono a scomparire naturalmente col passare del tempo, a mano a mano che il piccolo acquisisce nuove competenze che gli consentono di regolare meglio le proprie emozioni e di controllare le proprie reazioni comportamentali, senza lasciarsi sopraffare dalla frustrazione.

Bambini aggressivi a casa e a scuola

Può anche capitare che i figli si mostrino aggressivi verso i genitori. Se i bambini sono aggressivi con la mamma o con il papà occorre innanzitutto non trascurare il proprio ruolo di modello comportamentale: se a uno schiaffo si reagisce con un altro schiaffo, con una minaccia o con una sonora sgridata, si continua a esporre il piccolo a un linguaggio violento. Aumenteranno quindi le possibilità che i bambini, nel tempo, diventino sempre più aggressivi.

Un bambino che picchia la mamma non agisce per cattiveria o per dispetto. Lo fa perché non riesce a esprimere un bisogno o un’emozione, e quindi reagisce istintivamente. Invece di giudicare o punire, i genitori dovrebbero mostrare fermezza e, al contempo, rimanere rispettosi e presenti. Meglio interrompere il comportamento aggressivo con un chiaro e autorevole «no».

Non servono spiegazioni prolisse, che spesso peraltro i più piccoli non sono in grado di seguire. Facciamo capire al bambino che comprendiamo la sua emozione, ma ribadiamo con poche e semplici parole che agire in quel modo fa male alla mamma, o al papà, e che perciò è una condotta inaccettabile. Potremmo dire, ad esempio: «Vedo che sei davvero arrabbiato! Ma se mi colpisci mi fai male. Non posso lasciartelo fare».

Piuttosto che soffermarci sul comportamento (il morso, lo schiaffo…), spostiamo l’attenzione su ciò che potrebbe nascondere (quale emozione o bisogno). Lasciamo da parte la frustrazione e comunichiamo al bambino che capiamo le sue necessità, ma che è importante trovare, insieme, altre strategie per esprimerle.

Va infine osservato che capita che per gioco i genitori “pizzichino” o diano piccoli morsi ai loro bambini. Ebbene, si tratta di un’abitudine da evitare: anche se lo si fa piano, anche se lo si fa per scherzare, si sta trasmettendo il messaggio che gesti del genere sono ammissibili.

 

Cosa fare, invece, se i bambini sono violenti alla scuola dell’infanzia o all’asilo?

A dire il vero, è abbastanza comune imbattersi in bambini aggressivi al nido e alla scuola materna: sono ben poche le classi in cui non ci sia almeno un “morsicatore” o un “tiratore di capelli”. Nulla di cui preoccuparsi: fino a un certo livello, l’aggressività in questa fase dello sviluppo è del tutto normale.

Come abbiamo detto, la corteccia prefrontale è ancora poco evoluta, il che rende difficile ai bambini controllare i propri impulsi e regolare gli stati d’animo; non sapendo in che modo gestire una forte emozione (ira, gelosia, frustrazione…), è normale che i bambini diventino violenti in classe e finiscano per mordere o colpire un compagno.

In questi casi, è bene intervenire prendendosi cura sia dell’“aggredito” sia dell’“aggressore”. Dopo aver verificato che il bambino colpito stia bene, si offrirà aiuto anche al bambino che ha inferto il colpo: ignorarlo o punirlo, infatti, lo porterebbe solamente a chiudersi in sé stesso, mentre l’obiettivo deve rimanere, certo, tracciare in maniera netta il confine tra comportamenti accettabili e inaccettabili, ma anche scoprire le motivazioni interiori del piccolo. Solo così sarà possibile aiutarlo.

 

E se i bambini sono violenti alla scuola elementare?

Crescendo i bambini acquisiscono nuove competenze cognitive, linguistiche, emotive e sociali. Imparano a regolare sempre meglio i propri impulsi e a mantenere l’autocontrollo, privilegiando il canale verbale rispetto a quello fisico. Tuttavia può ancora accadere che adottino comportamenti aggressivi, e si dimostrino quindi violenti anche alla scuola elementare. Che cosa fare?

A questa età, non sempre l’intervento dell’adulto è la soluzione migliore. Come suggerisce Daniele Novara, i conflitti non sono, di per sé, qualcosa di negativo. Se i bambini, infatti, imparano a “litigare bene”, acquisiranno nel tempo sempre più strumenti per gestire le situazioni di difficoltà e risolverle senza dover ricorrere all’aggressività.

Anche nel caso in cui un bambino sia spesso violento in classe, etichettarlo o punirlo non serve. Piuttosto, è importante che le figure educative di riferimento (genitori e insegnanti) si confrontino e, lavorando in sinergia, si interroghino sulle possibili, diverse, cause all’origine del comportamento. Cambiamenti importanti nella vita familiare (ad esempio l’arrivo di un nuovo membro, una separazione o un lutto), difficoltà nello stabilire legami con i propri coetanei o la carenza di stimoli adeguati nel contesto educativo potrebbero portare i bambini a essere aggressivi in classe. Osservare il bambino nei differenti contesti di vita sarà decisivo per capire il tipo di sostegno di cui necessita.

 

Strategie educative

Le migliori strategie educative per bambini aggressivi, dunque, sono quelle che mirano ad aiutarli a esprimere i loro vissuti e bisogni senza che questo comporti il fare del male ad altri.

Per poter intervenire in maniera efficace sui comportamenti aggressivi è importante comprenderne le cause scatenanti. Se, ad esempio, si scoprisse che i comportamenti aggressivi compaiono soprattutto in concomitanza di momenti di transizione, le strategie educative più efficaci saranno quelle volte a stabilire delle routine quotidiane, come l’utilizzo di carte illustrate per rendere più “leggibili” le fasi della giornata.
Se invece si osserva che alcuni comportamenti violenti sono dovuti a un accumulo di adrenalina, a un’eccitazione eccessiva o a una forte emozione difficile da esprimere a parole, le attività di manipolazione (con la pasta di sale, la sabbia, l’argilla…) rappresentano una buona soluzione: offrono una piacevole stimolazione sensoriale, dall’effetto calmante, e permettono di indirizzare in maniera positiva le proprie energie, evitando che sfocino in aggressività o violenza.

Oltre alle strategie educative volte a prevenire il manifestarsi di comportamenti aggressivi, è importante sapere come agire nel momento in cui ci si trova davanti a tali comportamenti. In particolare bisogna:

  segnare subito il limite, bloccando il comportamento con amorevole fermezza;

  concedere al bambino del tempo per calmarsi, offrendogli rassicurazione, vicinanza emotiva e, se richiesta, anche fisica;

  aiutare il piccolo a tradurre in parole l’emozione o il bisogno che ha provocato quel comportamento; Offriamo loro parole che non hanno modo di dire perchè incapaci ancora!!!

  ragionare insieme sulle modalità alternative per risolvere il malessere senza dover ricorrere all’aggressività.

Molto importante, è bene ribadirlo, sarà il gioco di squadra tra scuola e famiglia, in maniera che gli interventi siano sinergici.

Un bambino che viene accompagnato in un percorso di introspezione, a riconoscere ed esprimere con consapevolezza le proprie emozioni e i propri bisogni profondi, diventerà un adulto rispettoso, capace di volersi bene e di instaurare relazioni sane con gli altri.

 

Questi comportamenti fanno sperimentare l’interazione sociale!!!

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